Testo e fotografie di Nazli Amiri
Le manifestazioni in Iran non sono riconosciute dal governo, sebbene la Costituzione consenta alle persone di protestare, ogni forma di contestazione popolare o di denuncia da parte di giornalisti e attivisti è considerata un atto di tradimento o di spionaggio, con l’accusa di essere sobillata da governi stranieri “nemici”: soprattutto Israele e gli Stati Uniti, ma anche altri Paesi giudicati ostili. Le proteste popolari, che inizialmente riguardavano i diritti civili e le libertà sociali, gradualmente si sono estese alle questioni economiche, come il carovita e i ritardi nel pagamento degli stipendi.
Il regime reagisce con una repressione violenta, arresti e intimidazioni, bloccando internet a livello nazionale, per impedire che le notizie si diffondano nel mondo. Un altro metodo molto utilizzato è quello di inscenare un processo pubblico sulla televisione di Stato, costringendo i manifestanti e gli attivisti a confessare di essere manovrati dal “nemico straniero”. In effetti, la paura è la leva con cui il governo controlla il popolo, così accade spesso che durante le manifestazioni molte persone assistano alle violenze senza opporsi e senza intervenire. Spesso nei confronti dei leader delle proteste o dei giornalisti che utilizzano i canali della Rete per informare e aggregare le persone, la repressione di Stato non si accontenta delle confessioni televisive forzate, ma arriva a ordinare processi iniqui e pene esemplari, con la condanna a morte degli imputati. Com’è accaduto nel caso dell’attivista e giornalista iraniano Ruhollah Zam, esule in Francia e accusato dal governo iraniano di essere un leader delle proteste del 2018. Zam aveva creato su Telegram il canale di libera informazione AmadNews, molto seguito dalla gente, ma poi ufficialmente bloccato dalla Telegram Company su richiesta del ministro delle comunicazioni iraniano, con l’accusa di incitare la gente alla rivolta. Pochi mesi dopo, durante un convegno in Iraq a cui era stato invitato, Zam fu arrestato dai servizi segreti iraniani (probabilmente questo invito era una trappola dei servizi segreti per catturare il giornalista). In seguito fu costretto a confessare il suo “tradimento” alla televisione statale, ma non bastò a salvargli la vita, considerato un elemento troppo pericoloso per il regime fu condannato a morte e infine giustiziato nel dicembre 2020.
Il pubblico della televisione iraniana è composto principalmente da analfabeti ed impiegati governativi.
Il governo sta facendo del suo meglio per isolare persone dal mondo esterno.
Ad esempio, prima dell’avvento di Internet, molte persone usavano i satelliti e guardavano le trasmissioni persiane all’estero. Di tanto in tanto, le forze governative facevano irruzione negli edifici, distruggendo e frantumando le antenne paraboliche.
Con l’avvento di Internet, Facebook è diventato il primo social network popolare in Iran, in seguito alle proteste del 2009, è stato bloccato insieme a YouTube. Gli iraniani utilizzavano Viber per comunicare, quando è stato bloccato tutti sono passati al messenger di Telegram. Dopo le proteste nel 2018, anche Telegram è stato bloccato ed il governo ha cercato di invogliare le persone ad utilizzare i messenger interni, ma molti utenti non si fidavano e preferivano usare VPN come “rompi filtro” per accedere alle applicazioni bloccate, come per esempio Telegram. I “rompi filtri” però costano e fanno perdere tempo a causa delle basse velocità di connessione. Gli unici social network popolari che non sono ancora bloccati in Iran sono Instagram e WhatsApp. non si sa perché Telegram sia bloccato, mentre WhatsApp è ancora libero.
La privazione della libertà di espressione non riguarda però soltanto i manifestanti, ma anche coloro che violano le leggi morali sociali.
Ad esempio, l’hijab; coprire i capelli e il corpo è obbligatorio in Iran, sia in pubblico che nel mondo virtuale, ma spesso le ragazze lo ignorano nei loro profili social. Una ragazza chiamata Maedeh Hojabri, che pubblicava su Instagram dei video in cui danzava senza coprirsi come prescritto dalla legge, è stata arrestata e costretta a confessare e pentirsi in pubblico: “Non sapevo che ballare fosse una brutta cosa e l’ho fatto solo per divertimento”, ha detto alla televisione di Stato mentre piangeva. Poi è stata liberata ed è diventata un personaggio famoso e ora fa pubblicità sulla sua pagina, non rispettando nuovamente l’obbligo di indossare l’hijab. Come lei ci sono tante altre ragazze iraniane che ballano e condividono i loro video “irregolari” sui social media. Sorge spontanea la domanda: come mai non vengono arrestate? Questa è un’altra leva di minaccia e di ricatto con cui il governo controlla le persone; c’è sempre il rischio di arresto. La trasgressione giovanile di alcuni precetti morali è parzialmente tollerata, pur restando sempre controllata e stigmatizzata, mentre la libera informazione, considerata più pericolosa per il regime, è brutalmente censurata e repressa.