di Samuele Pigoni
Il mondo si urbanizza ma la città si affolla di quasi cittadini.
Nei prossimi decenni potremmo sorprenderci di fronte all’emergere di una mappa cartografica del mondo divenuto città che assegna alla periferia della cittadinanza intere fasce della popolazione. Eppure – sempre meno immunizzati – non è così escluso che ognuno di noi possa trovarsi, per una qualche situazione o condizione di vulnerabilità, a farne improvvisamente parte.
A prevedere il futuro urbano è l’ONU che nel 2020 ha presentato una serie di dati utili al profilo del mondo di domani1. La popolazione mondiale aumenta di due miliardi, dagli attuali 7,7 miliardi a 9,7 miliardi nel 2050, prima di raggiungere un picco di quasi 11 miliardi entro la fine del secolo. Se fino al 2009 erano di più gli abitanti delle aree rurali, oggi circa il 55 per cento della popolazione mondiale vive in paesi e città, con un livello di urbanizzazione che si prevede possa raggiungere quasi il 70 per cento entro il 2050. Metà dell’aumento della popolazione globale tra oggi e il 2050 sarà dovuto soltanto a nove Paesi: India, Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Tanzania, Indonesia, Egitto e USA (in ordine decrescente di aumento). A fronte del probabile raddoppiamento della popolazione dell’Africa subsahariana, la popolazione europea diminuirà.
Le città, occupando meno del 2 per cento del territorio mondiale totale, producono l’80 per cento del Prodotto Interno Lordo (PIL) globale e oltre il 70 per cento delle emissioni di carbonio. L’accelerazione e la portata dell’urbanizzazione presentano sfide enormi rispetto alla possibilità di assicurare la piena cittadinanza ai futuri nuovi cittadini (abitazione, lavoro, infrastrutture e trasporti adeguati, servizi) così come di proteggere da conflitti e violenza.
Nel frattempo, le persone si stanno muovendo. Mentre la percentuale di migranti internazionali è rimasta circa al 3 per cento della popolazione globale, negli ultimi due decenni, il loro numero è aumentato di oltre la metà dal 2000. Allo stesso tempo, il numero di persone costrette ad abbandonare la propria casa è aumentato drasticamente a causa di conflitti prolungati e crescerà ulteriormente a causa dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale.
La stragrande maggioranza del flusso di rifugiati e migranti proviene da nazioni del Sud del mondo.
Le persone anziane (dai 65 anni in su) oggi rappresentano la fascia d’età in più rapida crescita al mondo. A livello globale, per la prima volta nel 2018, gli anziani hanno superato numericamente i bambini al di sotto dei cinque anni ed entro il 2050 supereranno adolescenti e giovani (tra i 15 e i 24 anni).
“La città determina sviluppo e povertà allo stesso tempo”2 con una proporzione di crescita della popolazione di poveri rispetto a quella della popolazione generale delle città è di 2 a 3.
Per ogni 3 abitanti, 2 sono poveri.
La povertà urbana si manifesta in modo intersezionale e a discriminazione multipla: una persona può appartenere contemporaneamente a più gruppi sociali sfavoriti e subire più forme discriminanti ben distinte intrecciando impoverimento economico e status in una circolarità di limitazione di accesso ai diritti di cittadinanza.
Vivere nelle favelas, negli slum o nei quartieri cosiddetti difficili o sensibili, essere rom, migrante in attesa di riconoscimento giuridico, anziano lontano da servizi di prossimità, cittadino con disabilità o momentaneo bisogno di sostegno: è il bacino della sofferenza urbana nel quale spazio abitato, povertà economica e salute sono fattori che si influenzano a vicenda dimostrando come i problemi di salute saranno sempre di più problemi di politica urbana.
Se la città di domani mantiene solida la discriminante tra centro e periferia, tra cittadinanza dei centri e quasi cittadinanza delle periferie, contemporaneamente la città di domani si fa sempre più porosa e la sofferenza porta la periferia in centro quando non in casa. Perché quando ti trovi in difficoltà ti accorgi che non è vero che i diritti sono una volta per tutte, per tutti e a qualunque condizione (per qualunque condizione).
La pandemia da Covid-19 lo ha reso evidente: nelle storie di sofferenza psicologica e isolamento di molti giovani assistiamo ad una fuoriuscita virale della sofferenza dalle periferie del disagio verso il centro dell’agio della città e del suo modello di sviluppo, al cuore di un modello abilista di vita.
Basta il crollo di un figlio che fino a ieri era al top, basta un genitore improvvisamente malato o basta un foglio di diagnosi per trovarsi improvvisamente disabile, quasi cittadino, perché senza sostegno adeguato, disabilitato nel diritto ad una cittadinanza piena proprio nella situazione o nella condizione di crisi. Vulnerabilità e sofferenza urbana rendono visibile quanto il costrutto della cittadinanza liberale si fondi sull’illusione di esistenze prive di crisi e bisogni speciali, come fossimo tutti cittadini autonomi, verticali e serviti. Basta parlare con chiunque abbia un’esperienza di malattia fisica o mentale, o una qualche storia di disabilità, per toccare con mano la mancanza di reti di protezione accessibili perché a portata di tutte e pertinenti perché commisurate ai problemi e le risorse di ognuno.
C’è da chiedersi quali siano le reti di sostegno possibili nella città di domani.
La risposta chiede di essere pensata in modo commisurato all’entità del problema, come ogni risposta degna di questo nome, che ha nella propria etimologia l’eco di un rimando pertinente e a misura di reciprocità. Se il problema-città di domani è complesso, decentrato, intersezionale allora la risposta deve emergere da questo calco (che è anche calcolo ma non solo) e riconoscersi in processi e servizi orizzontali, integrati e personalizzati.
L’egemonia del modello bio-psico-medico, che va naturalizzandosi quasi fosse il paradigma unico della conoscenza in qualunque campo, mostra la corda e arriva tardi sull’accelerazione di tempi e spazi urbani sempre più complessi. I modelli di classificazione e separazione di matrice neo-positivista – tanto utili quanto non esportabili al di fuori dei saperi di medicina, ingegneria ed economia – mancano l’obiettivo di riconoscere nella complessità la matrice a partire dalla quale ridisegnare la politica dei servizi, dell’educazione, della cura e della cultura. Solo un ripensamento politico dei servizi può immaginare oggi i centri e le periferie della cittadinanza di domani. Ripartendo dall’universalizzazione concreta dei diritti possiamo immaginare (nel senso più proprio e trasformativo del termine) una risposta che sia in grado di ricomporre le discriminazioni, gli stigmi, le segregazioni e le espulsioni dei quasi cittadini di oggi e di domani, siano essi disabili, anziani, fragili, poveri, stranieri o portatori e portatrici nei corpi di istanze complesse e intersettoriali. Siano essi, prima o poi, ognuno e ognuna di noi.
1Sono i dati presentati nel 2020 in occasione dell’iniziativa UN75. Cfr. https://unric.org/it/un-75-i-grandi-temi-una-demografia-che-cambia/
2Benedetto Saraceno, Psicopolitica. Città, salute, migrazione, DeriveApprodi, Bologna 2019.
Immagine in evidenza: Andrey Maximov, Surrounded by the city crowd.