Tra il centro e la periferia della socialità
di Alessia Bellanca
In origine, l’uno non nasce in contrapposizione all’altra, né tanto meno coesistono.
Quando l’essere umano ha posto la matematica al servizio della propria curiosità, fondendo ad essa l’interesse per la composizione artistica, ecco che si genera l’urbanistica così concettualmente strutturata, alla quale si aggiunge una consistente componente di discrezionalità sociale.
La vivibilità degli spazi centro e periferia, non a caso, è data proprio dai nuclei sociali interni, soggetta a criteri non del tutto arbitrari, ma che contribuiscono alla creazione, nell’immaginario collettivo, di una conseguente idea di bene/male.
In genere, si definisce il centro come il posto desiderabile di un luogo cittadino, quello attorno a cui si sviluppa una realtà fatta non soltanto della quotidianità della società, ma che è anche fulcro dell’aspetto decisionale di ciò che quel posto è chiamato ad essere.
Per approfondire l’aspetto di desiderabilità si potrebbe ricorrere alle più diverse discipline, dalla sociolinguistica alla semiotica, ma ecco alcuni esempi concreti:
La città di Palermo ha uno dei centro città più controversi socialmente, economicamente e artisticamente parlando. Ad oggi, si contraddistingue per essere una meta turistica di spessore, con le sue facciate normanne, le influenze gotiche e barocche, ma non più di 40 anni fa, essere parte del centro della Città significava essere parte di quella fascia socialmente rigettata, che trovava in quartieri ad oggi iconici come Ballarò e la Vucciria, i propri ghetti.
Nodo cruciale della contrapposizione centro/periferia è data dalla già citata discrezionalità sociale.
In determinati contesti, la percezione della periferia rispetto al centro risulta una posizione privilegiata, se non addirittura ambita, sfociando in una paradossale sinestesia verbale quale è l’espressione “bella periferia”. Un posto dove accade che la disuguaglianza si accentui qualora, a parità di condizione, la forma subentra alla sostanza in modo quasi assoluto, tanto da renderne necessaria la dissacrazione (fig. 1).
Laddove un ghetto è tale perché chi lo abita è marginalizzato e vive in una condizione di disagio atipico rispetto alla media, dall’altro lato troviamo il “quartiere residenziale”, che altro non è che marginalizzazione, volontaria, di una porzione di società che vive in una condizione di agio atipico rispetto alla media, ma che in fin dei conti, sul piano macroscopico, di periferia trattasi.
È la luce in cui ogni elemento è posto, a porre una chiave di lettura utile per l’interpretazione della contrapposizione. Per anni il tema dell’illuminazione dei luoghi cittadini è stato lasciato in sordina, favorendo una (più che lecita) messa in risalto delle opere meritevoli e memorabili, a discapito di quegli spazi, spesso periferie ghettizzate, che sono oggetto del vizioso circolo della “messa in ombra”, letterale e morale. Un’illuminazione non solo di carattere celebrativo/simbolico, ma anche e soprattutto ordinario. Solo con il recente tema della riqualificazione/rigenerazione urbana l’attenzione alla dignità delle periferie, quanto dei centri, assume maggior rilievo, portando alla luce spazi e luoghi vittime di una gentrificazione che ha colpito prima la dimensione urbana, poi la dimensione umana.
È infatti inscindibile la componente sociale, che essa rappresenti rabbia, privilegio o ingiustizia, dalla dicotomia centro/periferia. Uno scontro esistenziale in cui l’uno non può determinarsi in assenza dell’altro.
- Giorgio Parisi, In questo mondo diamo i numeri su «La Stampa», pp. 30 – 31, 19, dicembre 2022.