dialogo fra Giulio Calegari e Franco Cesare Zanetti
Giulio Calegari - Oggi si fa un gran parlare dell’Intelligenza Artificiale (AI): un’“entità” che abbiamo creato per noi, fuori da noi, ma che ci appare più brava di noi. Utile e partecipe della nostra evoluzione? Questa storia l’uomo se l’è covata a lungo, dai suoi primi passi sulla Terra. Perché da sempre l’uomo vive nell’artificialità che si è creato: da quando una scheggia di selce ha migliorato la funzione dei denti, delle unghie, così deboli e fragili nel corpo di ominidi non proprio fisicamente specializzati ma pronti ad adattarsi, tanto da aver subito puntato a fare molto molto di più.
Franco Cesare Zanetti - L’AI genera sentimenti forti e contrastanti, ci sono persone entusiaste e persone che la temono. Penso che il nome che è stato dato a questa tecnologia crei (volontariamente o involontariamente?) la percezione di trovarsi di fronte a un’entità aliena e intelligente, quando non è nessuna delle due cose.
GC - Parlando di intelligenza tendiamo ad associarla alle qualità intellettive di un individuo. Credo che nel caso dell'AI la percezione di molti sia proprio quella di trovarsi di fronte ad una mente aliena, magari competitiva. C’è chi ci si metterebbe in società e chi la teme o ne diffida. È la solita reazione di fronte a novità che sembra possano imporci un cambiamento scavalcando le nostre tranquille certezze.
FCZ - Le cose artificiali vengono spesso intese come in contrapposizione con quelle umane o naturali, invece essendo realizzate dall’uomo sono sia umane che naturali!
GC - Mi vengono spontanee riflessioni banali, scontate. Magari stimolanti perché libere da inibizioni. Da piccolo associavo il termine artificiale ai fiori finti. Roba da cimitero o da salotto di vecchie zie. Stranamente innaturali entrambi: i salotti e le zie. Il naturale infatti se n’era andato da tempo. Perché è il tempo che la fa da padrone e anche i fiori e le foglie artificiali si sbiadiscono, invecchiano, sfioriscono come quelli veri, in natura. Edere di plastica che “germogliano” su recinzioni e balconi, cotte, sbiancate, avvizzite dagli anni, cadono anch'esse e si lasciano trasportare dal vento in un ultimo anelito di verosimiglianza. Esiste dunque un artificiale che accontenta la vista con l’inganno dell’imitazione e un artificiale al servizio di utilità e funzionalità. Gli arti artificiali, che subito dopo i fiori mi vengono in mente, stanno a metà. Indispensabili! Peccato che la loro parte mimetica, sia sempre poco gradevole e renda macabra l’imitazione. Anche l’AI è una via di mezzo: tra il concreto e l’impalpabile, tra la cultura materiale e quella immateriale, come si dice in antropologia culturale.
FCZ - Cosa ne pensi di uno strumento generativo e creativo? Pensi che ci siano stati casi analoghi nel passato oppure che ci troviamo di fronte davvero a una situazione nuova? Potrebbe sostituirci proprio in un campo che credevamo prettamente umano?
GC - Quando la scrittura ha sostituito l’oralità deve essere successo qualcosa di simile. Una mente esterna raccontava e fissava la memoria! Il processo è stato molto lento ma qualcuno ne avrà certo avuto paura. Perché la scrittura si appropriava dell’invisibile. Del resto, è stato detto che l’uomo è, per sua natura, un essere prevalentemente invisibile. Forse per questo si fonde in lui concreto e astratto, naturale e artificiale.
FCZ - Forse l’AI, come i geroglifici egizi, corre il rischio di non essere compresa dai non addetti/adepti e sembrare un oracolo con un’aura di infallibilità a chi non ha gli strumenti per decifrarla. Sarà importante divulgarne il funzionamento, i suoi pregi e i suoi limiti per evitare che aumentino divari tra chi è in grado di servirsi di questi strumenti e chi non lo è.
GC - A proposito ricordo qualcosa che ho letto tanto tempo fa riguardo agli Antichi Egizi: avevano colonizzato le terre fertili (una striscia verde in mezzo al deserto, lungo il Nilo) e poi, finiti gli spazi disponibili, cominciarono a colonizzare l’aldilà! Ma non vi è nulla di più artificiale dell’aldilà e l’AI ci si avvicina assai. Se non proprio all’aldilà guarda certamente al di là. Forse però con un rimpianto per la scheggia di selce e la scintilla.