di Federico Rosa
Sono infinite le sfumature di azzurro che prendono vita al variare impercettibile ma continuo della luce; la stessa, unita al tipico divenire molteplice del mare e dell’atmosfera, crea ogni giorno dei punti di azzurro che difficilmente rivedremo con la stessa esatta sfumatura. Le varianti che questo colore può assumere, sia in mare, sia in cielo, sono tantissime e queste dipendono da altrettanti fattori. Per molti psicologi l’esposizione alle onde elettromagnetiche che scaturiscono dal colore del mare, aiutano a dormire e a pensare, oltre che a gestire in modo più saggio le nostre emozioni, portandoci ad una dimensione meditativa particolare.
Ettore Spalletti (Cappelle sul Tavo, 26 gennaio 1940 – Spoltore, 11 ottobre 2019), scultore del colore, faceva grande uso di monocromi nelle sue opere, adoperando il bianco, il grigio, il rosa, il porpora e in particolare l’azzurro, caratteristico di una grandissima parte delle opere dell’artista. Colori che Spalletti spalmava a più riprese attendendo l’asciugatura, per poi levigare e quindi scolpire il colore. Il colore azzurro, più spesso utilizzato, proprio come succede con il mare, permette un’immersione completa nelle sue opere. Al contempo, le sfumature di questo colore seguono il variare della luce e dell’atmosfera stessa, dalla mattina al crepuscolo, quando, come dice Spalletti «il rosso del tramonto ridà colore ai colori». Di fatto, l’artista nelle sue opere insegue la luce, proprio come fa il mare. Con la sua leggera curvatura, l’orizzonte – a volte ambiguo per via della fusione tra l’azzurro del cielo con quello del mare – rincorre sempre la luce. In particolare al crepuscolo (tramonto o all’alba che sia) viene quasi voglia dicamminare fino a dove arriva il sole, inseguendo instancabilmente all’infinito quella linea retta che ci separa. Spalletti ritiene che l’azzurro non sia un colore di superficie poiché siamo sempre immersi nell’azzurro: ci è sempre addosso, modificandosi, come detto in precedenza, attraverso le radiazioni. L’azzurro immateriale di Spalletti, come il mare e le atmosfere mediterranee (in particolare adriatiche), ci fa prendere parte ad un’esperienza emozionale portandoci ad una dimensione meditativa che non può che essere silenziosa, la stessa che stava tanto a cuore all’artista e su cui ha basato anni di ricerche. “Silenzi lunghissimi ma di una grande vicinanza”: questo ciò che si avverte stando in compagnia del maestro, come spiega Azzurra Ricci, assistente dell’artista. Le sue opere sono quindi luoghi di introspezione e di meditazione. Denominato anche “poeta del silenzio”, Spalletti ci rende partecipi di una tensione metafisica, tipica di tutte le sue opere. Spalletti, dunque, porta il volume ad un livello stabilmente silenzioso, tenendo fuori le urla della società contemporanea.
I colori “plastici” di Spalletti quindi, si interfacciano con la scienza, in quanto indissolubile unione tra tecnica (conoscenza) e tecnologia attraverso l’uso di strumenti, procedure e possibilità operative, proprie del suo modus operandi (di stampo riduzionista), che gli hanno permesso di poter arrivare ad un codice operativo concettualista. L’artista mette da parte le parvenze per dare maggior risalto al concetto stesso che si rende materia nelle sue opere, prive di vezzosità, trasmettendo un messaggio profondo che può essere ascoltato solo individualmente aprendo la nostra mente. Allo stesso modo, il mare – di natura sinonimo di voce e silenzio, di calma e di tempesta – diffonde dei messaggi nel nostro interiore, invitandoci a lasciare la dimensione legata alla materialità e stimolando il nostro pensiero.
Ritratto di Ettore Spalletti.
Ettore Spalletti, Carte di azzurro verso il mare, 1998.