Canto per te che mi vieni a sentire, Suono per te che non mi vuoi capire…
di Andrea Cajelli
“Canto per te che mi vieni a sentire/
Suono per te che non mi vuoi capire/
Rido per te che non sai sognare/
Suono per te che non mi vuoi capire…”
Queste erano alcune delle parole del brano Gioia e Rivoluzione degli Area, band di cui è stato cantante l’indimenticato Demetrio Stratos. Una sorta di manifesto di intenzioni di Demetrio, un vocalist e un personaggio unico nel panorama italiano, e non solo, che non temeva di sfidare i limiti delle proprie possibilità. Nessun altro cantante infatti, tra quelli a noi noti, ha approfondito e sperimentato quanto lui lo studio delle potenzialità di quel meraviglioso strumento che ciascuno porta con sé: la voce. Si faceva chiamare Demetrio Stratos ma il suo vero nome era Efstràtios Dimitrìu (Ευστράτιος Δημητρίου), un nome già di per sé traboccante di suoni, di intrinseca musicalità. Un nome indissolubilmente legato agli Area, gruppo protagonista della scena progressive rock italiana degli anni ’70, musicisti d’eccellenza che seppero andare oltre quella cornice, svincolandosi dai canoni prevalenti del genere e incamminandosi sui nuovi percorsi del nascente jazz-rock americano, antesignano della fusion. Nell’evoluzione artistica degli Area, Stratos ebbe una funzione importantissima. Possiamo valutare il suo spessore e la sua complessità culturale, prima ancora che la sua tecnica vocale, solo conoscendo le sue origini e suoi principali percorsi artistici e di vita. Stratos nacque il 22 aprile 1945 ad Alessandria d’Egitto, da una famiglia greca; già dalla nascita fu presente in lui un certo cosmopolitismo che più avanti si sarebbe accentuato ulteriormente.
Alessandria d’Egitto, culla della cultura e crocevia d’incontro di etnie e culture diverse, era anche luogo di iniziative musicali, una posizione ideale per un appassionato di musica. La famiglia di Demetrio era cristiana ortodossa e lui, fin da bambino, imparò a conoscere i canti religiosi bizantini oltre alla musica araba tradizionale. Demetrio iniziò così ad assorbire anche le influenze musicali arabe.
Nell’arco di tredici anni, riuscì ad inglobare uno straordinario caleidoscopio di suoni, accenti, intonazioni. Cominciò subito a frequentare il conservatorio studiando il pianoforte e la fisarmonica fino ai dodici anni, quando il colpo di stato di Nasser ai danni di re Faruq cambiò sensibilmente la situazione politica in Egitto. Si trasferì a Cipro dove continuò i suoi studi al Collegio Cattolico di Terra Santa e vi rimase per tutta l’adolescenza. A diciassette anni, ormai giovane universitario, si trasferì a Milano per iscriversi alla Facoltà di Architettura. Ma la sua vera passione era ancora e sempre la musica, e fin dal 1963, ad appena diciotto anni, formò vari gruppi musicali per poi approdare alla band dei Ribelli.
I Ribelli erano il gruppo che originariamente accompagnava Adriano Celentano nelle sue performance live e diversi di quei musicisti parteciparono anche alla realizzazione dei suoi dischi. Di quel gruppo facevano parte, tra gli altri, il mitico Gianni Dall’Aglio alla batteria (che collaborò anche con Lucio Battisti in diverse produzioni) e Gino Santercole alla chitarra. Dopo aver partecipato alla registrazione di un disco di Ricky Gianco e a molte altre collaborazioni, nel ‘64 la band intraprese una carriera autonoma. Fu in quel momento che Demetrio Stratos entrò a far parte della band in qualità di cantante e tastierista. Demetrio si era già creato una solida formazione rhythm and blues e rock and roll, conosceva i classici di quei generi, li aveva suonati e cantati con diversi gruppi precedenti (Chris Farlowe – degli Atomic Rooster prima e dei Colosseum dopo – partito dal soul, compì un percorso di esperienze e di studio sulla vocalità analogo a quello del primo Stratos). Demetrio, con i Ribelli, trasferì quegli insegnamenti e quell’impronta vocale alla musica beat italiana del momento. Contribuì in modo determinante a dare ai Ribelli un brand musicale assolutamente distintivo rispetto a tutte le altre band, più “americano” e meno “anglosassone”.
Il successo arrivò con Pugni Chiusi e fu riconfermato con Chi Mi Aiuterà (cover di You Keep Me Hanging On delle Supremes e poi dei Vanilla Fudge). Nel 1968 pubblicarono il loro primo album che conteneva altre importanti cover come Get Ready (Temptations) e La Nostra Favola, tradotta da Delilah, di Tom Jones (cantata anche da Jimmy Fontana). Incisero Nel Sole Nel Vento Nel Sorriso Nel Pianto di Lucio Battisti e altre canzoni ancora, fino ad arrivare all’ultima cover del ‘70, Oh! Darling dei Beatles. Dopo lo scioglimento del gruppo, Demetrio provò brevemente la strada solista con la realizzazione di un 45 giri per la Numero Uno di Battisti (sul lato A Daddy’s Dream, una canzone molto soul, alla Marvin Gaye – Sul lato B, Since You’ve Been Gone). Stratos, musicista di formazione classica, ebbe modo nel frattempo di approfondire lo studio delle avanguardie musicali di Luciano Berio, Luigi Nono, John Cage, Mauricio Kagel e Iannis Xenakis. Lo showbiz e la canzone non erano propriamente i terreni a lui più congeniali, anzi in quel momento li percepì come una gabbia sempre più stretta e insopportabile. Decise così di abbandonare definitivamente la musica pop. Arrivò il 1972, l’anno che cambiò tutto: insieme al batterista di origini turche Giulio Capiozzo, Stratos fondò gli Area (International POPular Group). Inizialmente entrarono a far parte della band il futuro bassista della Pfm Patrick Djivas, il tastierista Leandro Gaetano (tutti e due provenienti dal gruppo di Lucio Dalla), il sassofonista belga Victor Edouard Busnello e il chitarrista italo-ungherese Johnny Lambizzi. Con quella formazione registreranno il primo disco solista di Alberto Radius, nel quale peraltro è contenuto un brano/improvvisazione dal titolo Area. Parteciperanno nel 1972, come spalla, al tour dei Nucleus e, visto il successo, subito dopo apriranno anche una lunga serie di concerti dei Gentle Giants e di Rod Stewart. Fu in quel periodo che Paolo Tofani (proveniente dai Califfi) e Patrizio Fariselli, sostituirono rispettivamente alla chitarra e alle tastiere, Lambizzi e Leandro. Con quest’ultima formazione collaborarono strettamente Gianni Sassi e Sergio Albergoni, in arte Frankenstein, soprattutto nella stesura dei testi ma anche come “supervisori” di progetti e sperimentazioni. Gli Area parvero subito una band eclettica e dirompente che riuscì ad imporsi grazie ad una innovativa e sperimentale fusione di generi. Al rock progressivo mescolarono jazz, free jazz, funky, pop, elettronica e importanti influenze etniche (dalla musica balcanica a quella araba e magrebina). A ciò si aggiunse un esplicito impegno politico e sociale, una militanza che inserì perfettamente la band all’interno della controcultura giovanile degli anni ’70. Gli Area furono praticamente un unicum nella storia della popular music italiana; un concentrato di talento, tecnica, commistione, sperimentazione, avanguardia, rivoluzione. A sovrastare le complesse trame strumentali, l’incredibile, funambolica voce di Demetrio che divenne essa stessa strumento in grado di imitare altri strumenti: una voce di straordinaria fisicità, una voce primordiale, ormai libera di slegarsi dal significato veicolato dalle parole. Cinque gli album in studio del gruppo: il folgorante debutto, dal provocatorio titolo Arbeit Macht Frei (1973); Caution Radiation Area (1974); Crac! (1975); Maledetti (maudits) (1976); Gli Dei Se Ne Vanno Gli Arrabbiati Restano! (1978), quasi tutti pubblicati dall’etichetta Cramps di Gianni Sassi.
Arbeit Macht Frei (il lavoro rende liberi), il titolo del primo album degli Area del ‘73, fa riferimento esplicito alla scritta che i deportati ebrei potevano leggere una volta giunti ai cancelli del terribile campo di sterminio di Auschwitz. “Il lavoro rende liberi”, in quel momento, oltre a riportare alla mente quei tragici eventi, assumeva una nuova connotazione: il ’68 era passato da poco e ci si preparava al ’77, erano anni di lotte studentesche ed operaie, di critiche serrate al capitalismo, ai suoi valori borghesi, alla sua morale e alle sue istituzioni. Erano gli anni delle avanguardie e dei tentativi (pragmatici ed intellettuali) di creare un mondo nuovo. La musica degli Area era un atto consapevole di avanguardia, musicale ma anche politica. Il pensiero gramsciano di “egemonia culturale” sembra quanto mai adatto ad inserire quest’opera in un preciso contesto storico e in un determinato progetto: la rivoluzione doveva essere attuata in primo luogo in ambito culturale, facendo diventare egemoni nuovi valori, nuovi costumi, nuove prospettive ideali. Nel 1973, a seguito del golpe militare in Cile, gli Area si fecero promotori di una tournée in supporto del popolo cileno e delle forze che tentavano di resistere al regime di Pinochet. Stratos, parallelamente al suo impegno con il gruppo, a partire dal 1972 fino al 1979, intraprese una personale ricerca sperimentale sulla voce umana come strumento musicale, accolta e sostenuta dal CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, nella sua sezione di Padova. Demetrio fu motivato dall’interesse e dallo studio sull’uso della voce che storicamente appartiene a determinate culture tradizionali della Mongolia e del Tuva, piccola repubblica della Federazione Russa (tecniche similari le ritroviamo anche in Tibet tra i monaci Gyuto, in alcune zone dell’India, del Pakistan e del Rajastan, nelle tribù Xosa in Sudafrica e nel “canto a tenore” sardo). “Cantare gli armonici” della voce, in un certo senso, rappresentava l’approdo naturale per chi veniva, come Stratos, dalle tecniche del canto arabo e balcanico. Il canto armonico, detto anche canto difonico, diplofonico e triplofonico, ed in inglese overtone singing, è una tecnica nella quale il
cantante sfrutta le risonanze che si creano nel tratto vocale (tra le corde vocali e la bocca) per far risaltare gli armonici presenti nella voce. In questo modo una singola voce può produrre simultaneamente due o più suoni distinti. Khoomei o il canto di gola, è il nome usato in Tuva e in Mongolia per descrivere diversi stili di canto e tecniche in cui un solo cantante produce contemporaneamente due (o più) toni distinti; il più basso è il tono fondamentale della voce e suona come un ronzio costante simile al timbro della cornamusa scozzese, il secondo corrisponde ad una delle parziali armoniche ed è come un fischio che risuona a tonalità molto elevate. Stratos nel 1973 fu chiamato a partecipare alla Biennale di Parigi e nel 1974 ebbe modo di incontrarsi a Cuba con alcuni musicisti mongoli. Nello stesso anno gli Area, con la nuova formazione Stratos/Capiozzo/Tavolazzi/Fariselli/Tofani, parteciparono ad un eccezionale esperimento/evento intitolato “Concerto Terapeutico” all’Ospedale Psichiatrico di Trieste (all’epoca diretto da Franco Basaglia). Soprattutto realizzarono il difficile, ostico e spigolosissimo secondo album: Caution Radiation Area. Il nuovo disco rappresentò un superamento netto dei confini già ampi del prog per eliminarli quasi del tutto, incorporando elementi improvvisativi tipici del jazz e di Industrial/Elettronica, che all’epoca muoveva i suoi primi passi in ambito essenzialmente tedesco e che rendeva Caution Radiation Area un disco estremamente moderno a prescindere dai contenuti politicotestuali. Demetrio intanto non smise mai di studiare la voce in tutte le sue possibilità e potenzialità. Se i suoi primi riferimenti furono i cantanti più avanzati della black music americana come Leon Thomas, fondamentale nell’incoraggiarlo alle nuove sfide fu l’incontro con quella che possiamo definire la sua guida spirituale, il compositore performer John Cage, allievo di Schoenberg e radicale innovatore del pensiero e delle pratiche musicali del secondo Novecento. Appena ebbe modo di ascoltarlo, Cage rimase immediatamente rapito dalle potenzialità di Stratos, tanto che lo invitò a esibirsi al Roundabout Theatre di New York e nel 1974 lo volle nel suo album Nova Musicha N.1. Stratos accettò, lasciandoci in eredità l’eloquente Sixty Two Mesostics Re Merce Cunningham (Frammenti), un concentrato di sapienza vocale ed estro creativo. I suoi studi continueranno di pari passo al suo impegno con gli Area, realizzando nel 1975 il terzo disco: Crac!, una conferma delle scelte musicali, culturali e politiche degli esordi, ma con la volontà di comunicare a un pubblico più ampio possibile. Coesione e sinergia ai massimi livelli, canzoni destinate a diventare slogan generazionali, come la memorabile Gioia e Rivoluzione, furono fuse con la sperimentazione e gli usuali spunti jazz di gran classe. Demetrio, con tutto il background musicale e culturale che già si portava dietro, decise di dare una svolta ai propri studi frequentando il Dipartimento di Musicologia presso il Musée de l’Homme di Parigi alla corte del maestro Tran Quang Hai, considerato il più grande specialista del mondo di canto difonico. Alcune tecniche di canto difonico, Stratos le aveva già apprese anni addietro dall’amico Nicola Bernardini, ma a Parigi le perfezionò e le ampliò. Contemporaneamente si occupò – in particolare al CNR di Padova – delle “diplofonie” e “triplofonie”, che si differenziano dal canto difonico per l’uso particolare della laringe come strumento in grado di emettere suono sollecitando o meno le corde vocali.
Sempre nel 1975 uscì il live della band, Are(A)zione, con una versione stravolta e per certi aspetti dissacrante dell’Internazionale, mentre nel 1976 si tennero due concerti memorabili a Parigi e Lisbona (da quei concerti venne tratto l’album live “Parigi Lisbona”, che uscirà però soltanto nel ‘96). Nello stesso anno vide la luce Maledetti, un concept album particolarissimo e atipico per i contenuti provocatori al limite della fanta-politica e per il fatto che venne inciso da una formazione “allargata” rispetto al consueto quintetto. Con questo capitolo la componente jazzistica diventa assolutamente predominante nel sound generale, grazie anche alla collaborazione con il sassofonista statunitense Steve Lacy. Il disco si apre con Evaporazione, un’introduzione parlata di Stratos che interpreta a modo suo un breve testo surreale (“Abbiamo perso la memoria del XV° secolo, quindici, XV° il, abbiamo secolo perso…”), accompagnato dal kazumba di Eugenio Colombo e un rasoio elettrico di Paolo Tofani. Maledetti non era solo un disco di avanguardia, era ricerca applicata alla musica, nel tentativo di infrangere ogni limite imposto dalle regole di mercato e dai luoghi comuni sul concetto di musica. Nel contesto di una tale propensione alla ricerca sperimentale, nel 1976 Demetrio lavorò al suo primo progetto da solista: Metrodora. L’album non è un disco di canzoni, ma di sola voce (o quasi).
Contiene pochissime parole, per lo più suoni. Non mira a comunicare tramite moduli espressivi tradizionali, ma a liberare l’uso voce dall’idea che essa debba veicolare significati verbali ed esprimersi secondo certi canoni. Stratos è convinto che si possa cantare la voce esattamente come si suona uno strumento e Metrodora è il suo primo esperimento compiuto in cui il canto è espressione di pura libertà: è il suono del sabotaggio dell’uso tradizionale della voce, che diventa forza primitiva e infantile. Come lui stesso ebbe modo di spiegare, “il contenuto di Metrodora non ha nulla a che vedere con la tecnica di espressione, è più che altro una tecnica di controllo mentale, è un microcosmo ancora da esplorare”. Metrodora prese il titolo dall’autrice di un trattato di medicina vissuta nell’Impero Bizantino del VI secolo d.C. e uscì per la collana della Cramps chiamata DIVerso. La comunicazione di tipo verbale in Metrodora viene accantonata da Stratos a favore di una dimensione non-narrativa. La prima facciata è occupata da quattro Segmenti. Nel primo, Stratos passa da acuti, una specie di yodel che apre l’album, a suoni ora gutturali, ora soffiati. Nel secondo segmento, all’alternanza brutale di registri, si aggiungono sovraincisioni e suoni bizzarri prodotti tramite piccoli stratagemmi. Attorno alla voce c’è il silenzio assoluto che viene rotto nel terzo segmento dal riverbero per simpatia delle corde di un pianoforte: Stratos registrò infatti urlando nella cassa di risonanza dello strumento. L’ultimo segmento è costruito sulla sovrapposizione di cinque tracce vocali, fra cui una che funziona da bordone: un gioco di glissati che dà vita a uno spiazzante effetto ipnotico e ad una formidabile resa sonora. Il timbro della voce non è alterato in sala di registrazione. Stratos si limita a usare la deglutizione di acqua, un bicchiere, una corda, la vibrazione di cartine per sigarette. La seconda facciata si apre e si chiude con due Mirologhi, reinvenzioni di lamentazioni funebri appartenenti alla tradizione greca. Come spiegato nelle note di copertina, i canti esprimono “un atteggiamento di primitiva energia rivissuto intensamente dal profondo, al di fuori di idealizzazioni posticce o scaltri sfruttamenti di una tradizione”. Stratos improvvisa e poi con l’aiuto del tecnico in studio, taglia e rimescola la performance, offrendola in versione naturale e/o manipolata. Per la prima volta si ascolta uno strumento, il sintetizzatore di Paolo Tofani degli Area, e si hanno linee melodiche compiute. Stretti fra i due mirologhi vi sono i 9 minuti di Metrodora: si ascoltano finalmente delle parole di senso compiuto tratte dal ricettario di Metrodora per il mal di gola, ma i significanti sono privati dei significati e usati come puri suoni. Due diverse voci sono sovraincise creando sovrapposizioni ritmiche spiazzanti che possono ricordare il lavoro del minimalista americano Terry Riley, ma il concetto base è l’opposto, nota all’epoca Stratos: “Qui non si tende a narcotizzare l’ascoltatore, ma al contrario ad aumentare la tensione, pur con un’impostazione ripetitiva”. Metrodora è un disco difficile, quasi un canto di protesta verso la “ipertrofia vocale occidentale” che “ha reso il cantante moderno pressoché insensibile ai diversi aspetti della vocalità, isolandolo nel recinto di determinate strutture linguistiche”. Sempre nel 1976 Demetrio partecipò a La Cantata Rossa per Tall El Zaatar (strage di palestinesi per opera delle milizie falangiste cristiane in Libano), album di Gaetano Liguori (pianista jazz) e Giulio Stocchi (poeta). Demetrio registrò la propria voce in Amna, un racconto agghiacciante sulle violenze subite da una adolescente palestinese (Amna). Nel brano, pianisticamente ispirato al Pierrot Lunaire di Schoenberg, la voce di Stratos è lasciata libera di vagare e dar corpo alla storia della ragazza, per poi impennarsi, esaltarsi, sdoppiarsi, squartarsi, fino a farci diventare parte viva del dramma. Straziante. Nell’ottobre dello stesso anno Demetrio registrò in studio a Milano una poesia in greco, O Tzitziras o Mitziras, che verrà inclusa nell’album Futura-Poesia Sonora del ‘78. Quel disco fu un’importante antologia storico-critica della “poesia sonora” a cura di Arrigo Lora Totino, fra i primi che si cimentarono nel secondo dopoguerra con quel tipo di poesia derivata dalle esperienze di futuristi italiani e russi, dadaisti tedeschi, simultaneisti e lettristi francesi. La “poesia sonora” è un’arte interdisciplinare dove scrittura, vocalità, musica, gestualità e arti visive, si interfacciano in un unicum dialettico. Stratos dette un eccellente contributo alla diffusione e alla conoscenza della poesia fonetica. O Tzitziras o Mitziras è la storia di una cicala, contenuta in uno scioglilingua di 21 parole pronunciate in tre secondi a ciclo continuo (come spiegò Stratos stesso, quello scioglilingua può avere un effetto anestetizzante, agendo sul nervo simpatico, se ripetuto almeno per venti minuti o più). Nel 1977 Demetrio, oltre a registrare con gli Area un doppio disco live (uscito postumo nel 1996), studiava a Parigi sotto la guida di Tran Quang Hai e fu chiamato dall’Università della Nouvelle Sorbonne a tenere un corso di sociolinguistica. Fu una grande opportunità per lui, ma anche un impegno ulteriore che si andò ad aggiungere ai suoi studi privati, a quelli per il CNR di Padova e all’attività degli Area, con i quali nel 1978 realizzò l’ultima uscita discografica: 1978 / Gli Dei Se Ne Vanno, Gli Arrabbiati Restano!. In questo concept album, Stratos si rivelò anche un grandissimo autore di testi, grazie anche al suo immenso background culturale. In corrispondenza del decennale del ’68, gli Area volevano dare un senso alla chiusura definitiva di un’epoca e nello stesso tempo suggerire una prospettiva nuova, traspare netta la voglia di chiudere conti col passato di pari passo ad una strisciante nostalgia di futuro. Il progetto fu tradotto in musica attraverso un’illuminata contaminazione fra il jazz rock – che aveva raggiunto livelli di maturità e consapevolezza tali da essere assimilabile alla fusion della prima ora dei Weather Report – e le forti influenze di matrice mediterranea disseminate ovunque. Complessivamente in 1978 Gli Dei Se Ne Vanno, Gli Arrabbiati Restano! c’è meno avanguardismo, meno sperimentazione rispetto al passato e il minutaggio medio delle tracce è stato ridotto in favore di una fruizione potenzialmente più “radiofonica”. Pur restando i brani tutt’altro che “POPular”, era evidente che gli Area sentissero il bisogno di tornare a parlare ad un pubblico il più ampio possibile, un po’ come avvenne con Crac!. Probabilmente se Stratos non fosse venuto a mancare, oggi parleremmo di un disco di assestamento verso un nuovo percorso. Resta invece purtroppo l’ultimo album di Demetrio con gli Area; un capolavoro però, che è riuscito a miscelare quanto di meglio veniva in quel momento da oltre oceano con la musica di ispirazione mediterranea. Non ci furono altri che riuscirono a farlo meglio di loro. Dopo questo disco, Demetrio fece ancora in tempo a lasciarci alcune perle da solista di inestimabile valore. La sua ricerca scientifica e etno- musicologica lo portò a dare un seguito a “Metrodora”. Quando uscì Cantare la voce, questo il titolo del nuovo disco da solista, Stratos era già una leggenda mondiale. Tra le molte attività che gli avevano procurato attenzione in campo internazionale, vanno ricordati soprattutto il concerto su invito di Cage al Roundabout Theatre di New York e l’evento teatrale con Merce Cunningham e la Dance Company diretto da Jasper Johns, sulle musiche di Cage e la collaborazione attiva di Andy Warhol per i costumi. Ma con Cage, in quel periodo, furono sempre più fitte le forme di collaborazione a 360°. Nel giugno del ‘78 venne realizzata la performance ferroviaria chiamata “Treno Di John Cage – Alla Ricerca Del Silenzio Perduto”. Demetrio svolse i suoi esperimenti vocali, vagone per vagone, su un treno in viaggio munito di futuristiche istallazioni audio/video. Un computer (nel 1978!) rielaborava sequenze da un tema di Tito Gotti sulle quali Demetrio, e altri “compagni di viaggio”, interagivano con proprie improvvisazioni, il tutto sotto la direzione di Cage e la supervisione di Juan Hidalgo e Walter Marchetti. Cantare la Voce, più di ogni altra performance o incisione, rappresenta la summa di tutti gli esperimenti vocali condotti fino a quel momento da Stratos. Quell’opera fu un disco/non disco, privo di melodia, una sperimentazione pura, una provocazione ed un documento scientifico, in cui le possibilità della voce umana vennero spinte oltre i limiti. Lo stesso Stratos disse: “…della voce sappiamo pochissimo, quasi niente… e il primo pezzo che si trova sulla prima facciata di…”Cantare la voce”, si chiama Investigazioni (diplofonie e triplofonie), e utilizza l’orecchio come microscopio per estrarre dei brandelli di suono o dividere dei brandelli di suono per cercare di spezzarlo in due e in tre parti, entrandoci dentro. “Come funziona, secondo il mio parere: la voce… qui funziona come un veicolo che ogni tanto dà delle occhiate a destra e sinistra, in… piccole camere, e… queste occhiate rimbalzano come delle palline da ping pong. Queste palline da ping pong, che rimbalzano per simpatia, possono essere controllate”. Su questo concetto del controllo
di più suoni emessi contemporaneamente, si snodano in successione tutte le altre tracce del disco: Passaggi 1,2; Criptomelodie Infantili; Flautofonie ed Altro e Le Sirene. L’emissione simultanea di suoni di cui Stratos dà prova in Cantare La Voce, riguarda specificatamente la sollecitazione della laringe, che può chiamare indirettamente in causa (per simpatia o meno) le corde vocali poste al suo interno a seconda dell’effetto che si vuole produrre. Da questa sollecitazione hanno origine più suoni sovrapposti, di frequenza diversa, come in un brano polifonico cantato da più persone, un po’ come quando si premono più tasti di una tastiera. Stratos riuscì a controllarne fino a tre contemporaneamente, ed affermava di poterne emettere fino a quattro, cosa riuscita unicamente ai monaci tibetani ed ad alcuni cavalieri mongoli. Il prof. Franco Ferrero, che presso il Centro Studi per le ricerche di Fonetica del CNR dell’Università di Padova analizzò gli effetti che Stratos riusciva a produrre, ammise: “Stando a quanto ho riscontrato durante l’emissione, le corde vocali non vibravano. La frequenza era molto elevata (le corde vocali non riescono a superare la frequenza di 1000-1200 Hz-Hertz/vibrazioni al secondo). Nonostante ciò Demetrio otteneva non uno, ma due fischi disarmonici, uno che da 6000 Hz scendeva di frequenza, e l’altro che da 3000 Hz saliva. Non si poteva supporre, quindi, che un fischio fosse l’armonico superiore dell’altro. Constatai anche l’emissione di tre fischi simultanei”. Con queste tecniche Stratos riuscì ad ottenere altri grandissimi risultati che Cantare la Voce documenta; portò la propria estensione vocale a frequenze mai udite. Sappiamo tutti che i cantanti sono classificati in base alla loro estensione vocale, cioè in base alla gamma di frequenze che riescono a riprodurre. Perciò, dai più bassi ai più acuti, abbiamo bassi, baritoni, tenori, contralti, mezzosoprani, soprani. Ciascuna voce ha un’estensione di circa due ottave (un po’ più alta per le voci femminili). Il suono più basso di un basso ha una frequenza di circa 88 Hz, mentre quello più acuto di un soprano ha una frequenza di 1175. L’estensione totale della voce umana va quindi da 88 a 1175 Hz. Con gli strumenti musicali naturalmente si riescono ad ottenere gamme di frequenza superiori (il pianoforte da concerto addirittura spazia da una frequenza minima di 27 Hz fino alla massima di 4186 Hz). Traducendo il concetto in ottave, sappiamo che l’estensione di un pianoforte è di 7 ottave e mezzo, mentre quella totale della voce umana arriva all’incirca a tre ottave e mezzo. La straordinaria esperienza di Stratos fu quella di riuscire ad arrivare ad una frequenza di ben 7000 Hz, di gran lunga superiore non solo alle voci umane codificate, ma anche a quella di qualunque strumento musicale! Demetrio è riuscito a forzare l’estensione della voce a circa otto ottave, superiori a quelle del pianoforte. Per aggiungere un dettaglio non trascurabile, alcune orecchie (in particolare maschili) non riescono neanche a sentire una frequenza così elevata. Ecco perché possiamo affermare che Stratos sia stato decisamente unico. Nel ‘78, lo stesso anno dell’uscita di Cantare La Voce, Demetrio tenne un concerto a Cremona dal quale venne tratto un live Recitarcantando, che uscirà due anni dopo, come album postumo, nel 1980. In quel disco rivisiterà dal vivo, insieme a Lucio Fabbri al violino, buona parte del materiale da studio dei suoi due dischi da solista (spicca anche una versione reinventata di Cometa Rossa). Sempre nel 1978 partecipò con le due tracce Albero di Canto I e II all’esordio discografico da solista di Mauro Pagani, violinista della Premiata Forneria Marconi e sperimentatore delle sonorità etnico/prog, con forti influenze folkloristiche orientali. A pochissimi giorni dall’uscita di Cantare la voce, Stratos tenne un concerto per sola voce al Teatro dell’Elfo di Milano. Da quel concerto venne tratto l’album live Concerto all’Elfo, uscito postumo soltanto nel 1995. Un lavoro dimostrativo, didattico e pedagogico; un concentrato delle ricerche e degli studi sulla voce, nonché delle tecniche acquisite negli anni, contenuti nelle versioni in studio di Metrodora e Cantare La Voce. Le esecuzioni non si discostano di molto dalle versioni originali: cambiano più che altro la durata e l’aggiunta di alcune introduzioni parlate di Demetrio, le quali permettono di inquadrare con precisione ciò che si andrà ad ascoltare. Nell’anno successivo, il 1979, Demetrio continuò ad essere immerso in un fitto programma di eventi live. Da uno dei più significativi venne tratto il disco: “Demetrio Stratos – Le Milleuna (Pièce per danza di Valeria Magli)”. L’album non fu altro che un adattamento audio di uno spettacolo teatrale molto particolare. Sceneggiato dal poeta Nanni Balestrini e successivamente coreografato da Valeria Magli, il testo di Le Milleluna era costituito da 100 parole, tutte con la lettera “s” come iniziale e tutte con qualche connotazione sessuale. Le parole venivano pronunciate, sussurrate, cantate, ringhiate, gemìte o contratte da Stratos, a seconda di ciò che gli evocavano. Il significato si faceva chiaro nel suono piuttosto che nell’enunciazione della parola stessa. Quel lavoro, ancora una volta assolutamente sperimentale, volle quindi recuperare la parola come suono e il suono come evocazione del concetto. Un altro progetto in cui Stratos fu coinvolto portava la firma di un nuovo gruppo Carnascialia, fondato da Pasquale Minieri, Giorgio Vivaldi e Mauro Pagani. L’album rappresentò un ottimo esempio di folk progressivo italiano, in cui Demetrio incise tre brani: Fiocchi di neve e bruscolotti, Kaitain (22 ottobre 1962) e Cruzeiro do’ Sul, una filastrocca dove la voce emozionante di Stratos risuona in una conchiglia, creando un’atmosfera trascendentale e di grande pathos. Memorabile anche l’omaggio di Demetrio ad Antonin Artaud, che riproduce col suo virtuosismo vocale una censurata performance radiofonica del genio francese: Pour en finir avec le jugement de Dieu. Quasi a voler chiudere la parabola di un’intera carriera, Demetrio ad un certo punto sentì il bisogno di tornare alle sue origini, che erano fatte di soul e di rock and roll, rispolverando alcuni classici fondamentali della musica nera e del rock americano. Mise allora insieme una band ad hoc, fatta di musicisti eccezionali; Mauro Pagani, Paolo Tofani, Walter Calloni, Stefano Cerri e Paolo Donnarumma. Con questa formazione affrontò le sue ultime performance live, da cui venne tratto l’album Rock and Roll Exhibition. Quasi per un beffardo destino, proprio il ritorno alle radici più antiche e genuine di Demetrio coincise con il suo triste congedo dalle scene. Non fu certo consolatorio constatare che il suo ultimo disco, quello di fine carriera, mise per una volta d’accordo un po’ tutti i palati, di pubblico e di critica. Demetrio si era ammalato di una gravissima forma di anemia aplastica (o aplasia midollare) e per questo fu ricoverato al Memorial Hospital di New York. Il 14 giugno del 1979 una schiera enorme di artisti italiani si mobilitò per la realizzazione di una kermesse musicale all’Arena Civica di Milano, con lo scopo di raccogliere i fondi necessari per curare Stratos. Non fecero in tempo, poiché Demetrio se ne andò poche ore prima, a soli 34 anni; il concerto si svolse ugualmente, ma si trasformò in un tributo all’artista e all’uomo. La testimonianza di quell’evento fu raccolta in un disco: 1979 Il concerto – Omaggio a Demetrio Stratos. Nel 1991 John Cage compose un Mesostic dedicato a Demetrio Stratos, il cui messaggio è emblematico della grande stima di Cage nei confronti dell’artista italo-greco. Nel 1999 è uscita una raccolta postuma dal titolo Demetrio Stratos – Alla ricerca della Voce Musica. L’album contiene le sue incisioni più significative come solista e ricercatore, ma anche alcuni brani emblematici del percorso realizzato con gli Area. L’opera comprende anche un avvincente libro, i cui capitoli descrivono eloquentemente la parabola dell’artista e dello studioso: Oltre la voce-enigma, Lo specchio sonoro della voce, Voce e corporalità, La voce nomade, Verso un ascolto sacrificale, Flautofonie ed altro. Non c’è retorica nell’affermare che Stratos ci ha lasciato un patrimonio inestimabile di arte e di ricerca. Quel patrimonio offre ancor oggi gli spunti e gli strumenti necessari allo sviluppo dello studio della voce come strumento. Chiunque faccia della voce il proprio mezzo di comunicazione artistica non può ignorare Demetrio Stratos, non certo per imitarlo, ma per trarne gli insegnamenti necessari a intraprendere una propria via.
A questo proposito dovrebbero suonare come un mantra le sue parole:
“…Vai per la tua strada, ricerca la tua propria unicità, non disperderti in quisquilie, bazzecole o pinzillacchere; come essere umano hai il dovere di dare il meglio di te stesso e se questo è cantare fino a perdere la voce, che così sia.”.