Dove abita il senso

Socializzare gli spazi e risignificare i nonluoghi nell’urbe contemporanea

di Valentina Zucca

La continua trasformazione del mondo contemporaneo, come essa si dà a noi, è da intendersi anche come mutamento della componente spaziale: non ci sembra più possibile pensarci come separati dal resto del globo e ci verrebbe da dire che ormai “Il mondo è un’immensa città [e] ogni grande città è un mondo”1. Marc Augé parla di un progressivo restringimento del pianeta e al contempo di una nuova sovrabbondanza spaziale, intesa come esplosione e complicazione dello spazio in una pluralità di universi di senso. Da qui, la necessità di un ripensamento delle categorie entro le quali si è soliti concepire la spazialità e la possibilità di pensare il binomio centro-periferia in una prospettiva antropologica oltre che urbana: l’urbe si è fatta mondo. Lo spazio sarà dunque luogo identitario, relazionale e storico o nonluogo, ovvero carente di queste tre caratteristiche e tipico della surmodernità2

Il Luogo per eccellenza è per Augé il centro storico della città “ove gli itinerari singoli si incrociano e si mescolano, ove […] le solitudini si dimenticano per un istante”3. La presenza nei centri di una significazione storicamente continua e portatrice di senso identitario li rende luoghi ma, nello stesso tempo, li espone alle trasformazioni più radicali nel momento in cui si scontrano con la surmodernità. In essi proliferano sempre più i nonluoghi: la presenza di stazioni ferroviarie, centri commerciali, grandi catene manifesta una nuova e costante necessità di ridurre spazialmente e simbolicamente il globo. Questo passaggio è reso esplicito dal mutamento del ruolo che l’individuo assume quando esperisce gli spazi: se il luogo è possibilità di costruzione di un’identità e di autoriconoscimento4, la fortuna del nonluogo risiede nella sua capacità di non permettere all’individuo di identificarsi con esso, impedendogli di costituire sensi e significati ulteriori rispetto allo scopo per cui è stato immaginato. I nonluoghi garantiscono un’irrinunciabile (o rinunciabile!) chance di anonimato all’individuo, garantendo “la coesistenza di individualità distinte, simili e indifferenti le une alle altre”5.

Il concetto di nonluogo può essere utile per render conto delle trasformazioni nelle città attuali e del rapporto che l’individuo intrattiene con esse, dalla percezione di un progressivo svuotamento di senso dei luoghi alla consapevolezza di una crescente capitalizzazione degli spazi (che tendono a costituirsi solo in rapporto a certi fini6). Tuttavia, la realtà quotidiana eccede questa rappresentazione e il concetto di nonluogo implica il prezzo teorico di un’invisibilizzazione degli attori sociali che lo attraversano e di uno svuotamento di significato delle pratiche altre che in esso si realizzano. Le medesime immagini di abbandono, desolazione, solitudine a cui associamo i nonluoghi potrebbero essere attribuite alle periferie e ancora, pensare ad esse solo come luogo di degrado sociale porterebbe all’identificazione dei centri urbani con i centri culturali, svalutando le culture che nascono dal basso e le pratiche di resistenza che avvengono in esse. I nonluoghi si presentano come spazi ove la moltiplicazione dei significati e dei simboli, delle immagini che si presentano in essi sembra tale da non poter essere ricompresa in un orizzonte di senso unitario. Eppure, in essi si delinea anche la possibilità di ritrovare un senso: a partire dai rapporti che già gli individui e le comunità intrattengono con gli spazi si scoprono tattiche di adattamento creative, di ri-costruzione di legami sociali e di ri-significazione che si pongono in antitesi rispetto alla proliferazione immaginifica della surmodernità. Quest’ultima possibilità è aperta dalle arti visive: come risulta dall’analisi di Federico Vercellone dell’opera di Anselm Kiefer I sette palazzi celesti «il luogo non è fisico, bensì un’immagine»7 risultato di una generazione simbolica e potenziale frutto di un’interpretazione artistica. L’opera Schiphol di Laura Avondoglio può essere intesa come un riuscito tentativo di restituzione di senso a un oggetto che, in quanto nonluogo, sembra inizialmente resistere ad ulteriori significazioni. Questa apparenza viene superata dall’atto interpretativo pittorico (o meglio pittorico e dunque già interpretativo) grazie al quale l’aeroporto assume la capacità di costituirsi come luogo rivelativo. Anche la presenza di una giovane donna in primo piano svela la possibilità per il nonluogo di ospitare individualità non anonime, che attraverso il proprio personale sguardo, riescono ad abitare uno spazio solo apparentemente ricco di scopo e privo di senso.

  1.  Augé, Marc, Non-lieux, tr. it. D. Rolland, Nonluoghi, Eleuthera, Milano 1992, Prefazione tr. it. Carlo Milani p. 13.
  2.  Ivi, p. 53.
  3.  Ivi, p. 72.
  4.  Vercellone, Federico, Simboli della fine, a cura di M. Cacciari, Il Mulino, Bologna 2018, p. 117.
  5.  Op. cit. Augé, p. 120.
  6.  Ivi, p. 106.
  7.  Op. cit. Vercellone, p. 118.

Bibliografia 

M. Augé (1993),  Nonluoghi, trad. it., Elèuthera, 2024.
F. Vercellone, Simboli della fine, Il Mulino, 2018.

Articoli consigliati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *