di Lorenzo Peluffo
L’attualizzazione della tragedia nel contesto delle cosiddette ‘new media arts’ è pratica assai stimolante, che richiede un certo metodo ed altrettanta libertà di pensiero.
Era lo scorso ottobre quando tra le mura di questa Accademia ci veniva chiesto di fornire una personale interpretazione di alcuni episodi legati alla mitografia di età ellenistica.
Venivamo, fortunatamente, da diverse esperienze rivelatesi poi utilissime oltre che di sorprendente coerenza con il tema in questione: laboratori didattici sull’ascolto, riflessioni sul silenzio [e riflessione del silen- zio], considerazioni sulla semiotica del vacuo e sulla deformazione – in fase di montaggio – della struttura narrativa.
Credo inoltre sia d’uopo considerare il fatto che il cor- so di studi da noi frequentato titoli Nuove tecnologie dell’arte – arte e linguaggi della comunicazione, da cui si evince che linguaggio e comunicazione ricoprano un ruolo di primaria importanza in questo percorso formativo. Tali concetti possono assumere tinte molto differenti a seconda del contesto in cui si opera e la nostra condizione di studenti di belle arti ci pone in una posizione di assoluto privilegio poiché possiamo permetterci il lusso di comunicare senza il fardello di dover essere compresi a tutti i costi e da chiunque.
La scelta di inscenare la vicenda della ninfa Eco, deuteragonista nel tragico mito di Narciso, è dovuta proprio ad alcuni aspetti legati ai due temi di cui sopra.
Eco è la persistenza della materia sonora sopra tutto il resto, è il morire della viva-voce, il suo venir meno. A lei è affidato il canto, delirante e deviato che si spinge oltre il verbo, nel superamento della parola. Eco de-scrive la parola (dove quel de è particella privativa). Il lento degradarsi dei flatus vocis lascia il posto, come elemento ultimo e finale, al suono: solitario, diafano, riflettente sé stesso.
È bene specificare che voce e silenzio non sono l’una il contraltare dell’altro. Sono elementi la cui alternanza genera musicalità.
Ecco, volendo parlare per opposti si possono citare musicalità e musicistica. A noi, però, interessa soprattutto la prima.
Certi esercizi di ricamo linguistico, di trasfigurazione della morale del senso e di smarginatura della pagina per mezzo della
materia sonora sono fondanti della pratica artistica tout court e, in particolare, di ciò che chiamiamo, per abitudine, modernità.
L’uso consapevole – tra concetto e tecnica – che si fa dello strumento voce, dall’ellenismo allo sprechgesang schonbergiano, dal recitar cantando del XVII secolo a Cage, fino al nostrano Carmelo Bene, ci porta in dote una fondamentale lezione su ciò che si dovrebbe intendere con l’abusatissimo e mortificato termine comuni- cazione.
La ninfa Eco non ci invita a seguire alcun filo del di-scorso. Ci conduce, insieme a lei, verso l’abbandono, verso la rinuncia all’io, verso la piena accettazione della divina volontà. Ciò che resta è soltanto suono riflesso.