Spunti cinematografici e teatrali
di Beauty Wanitta
“E’ la storia di una società che precipita e che mentre sta precipitando si ripete per farsi coraggio: fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene…ma il problema non è la caduta ma l’atterraggio.”
dal film La Haine (L’odio) di Mathieu Kassovitz
Nel film La Haine (1995), il regista Kassovitz ci immerge nella situazione locale francese. Ci troviamo a Parigi nelle Banlieues (periferie), per strada ci sono manifestazioni contro le ingiustizie sociali. Le forze dell’ordine sono dispiegate in assetto antisommossa per mettere ordine. La pellicola è nota per l’uso esplicito della violenza come mezzo per mostrare la disperazione e la frustrazione dei personaggi, ma anche per far riflettere sulle problematiche sociali che affliggono le Banlieues francesi. Il regista ha voluto rimarcare il sentimento dell’odio in vari modi: a livello sonoro, attraverso le battute dei personaggi, spesso gergali, e con immagini forti, drammatizzate da una splendida fotografia in bianco e nero, tutto ciò per farci empatizzare con la situazione.
Il film è del 1995 ma la sua denuncia riecheggia ancora oggi, basti pensare ai frequenti comportamenti razzisti della polizia statunitense, con un abuso del proprio potere e con una violenza ingiustificata che arriva fino all’omicidio, come nel caso dell’afroamericano George Floyds. Anche in Italia purtroppo assistiamo a comportamenti violenti e discriminatori nei confronti degli stranieri.
La frase citata all’inizio di questo articolo è ripetuta più volte all’interno del film da Hubert, uno dei tre personaggi principali della storia, sembra un mantra. Ma il problema non è la caduta, è il picco di sopportazione che una persona o un gruppo di persone riesce a tenere sotto controllo. Il tema del disagio delle periferie, abitate in prevalenza da immigrati e ceti sociali impoveriti, con una presenza di una destra sempre più estrema e violenta, lo ritroviamo anche in Divines, di Houda Benyamina (2016).
La scena dove Hubert è seduto sul treno, si volta e legge sul cartellone pubblicitario “le monde est à vous” (il mondo è tuo), si chiude con un fischio. Questo per ricordarci che siamo sempre su qualcosa che si muove, che cambia, e lui chiude gli occhi come se volesse alienarsi dal mondo in cui vive. L’alienazione e l’odio sono due concetti intimamente collegati tra loro, in quanto entrambi riguardano la relazione dell’individuo con il mondo che lo circonda. L’alienazione può essere definita come un senso di disconnessione e distanza tra l’individuo e il suo ambiente, e può essere causata da molteplici fattori, tra cui la mancanza di significato e scopo nella vita, la perdita di controllo sulle proprie scelte e azioni, la sensazione di non appartenere a un gruppo sociale. Essa può portare all’isolamento e alla solitudine, ma anche all’apatia e alla rassegnazione. L’odio, d’altra parte, può essere visto come un’emozione negativa estremamente potente che può derivare da molteplici fonti: il razzismo, la xenofobia, la discriminazione, il pregiudizio e la mancanza di empatia. L’odio può portare alla violenza fisica e verbale, all’aggressione, alla distruzione, e può causare danni enormi a livello personale e sociale. L’alienazione e l’odio possono essere interpretati come due facce della stessa medaglia, in quanto l’alienazione può spingere le persone a sentirsi escluse e isolate, mentre l’odio può rappresentare la reazione estrema di queste persone contro ciò che percepiscono come minaccia alla propria identità e sicurezza.
L’alienazione può inoltre alimentare l’odio verso gli altri, poiché l’individuo può sentire che le persone non lo comprendono o non lo accettano, e può quindi sviluppare sentimenti di rabbia e risentimento. Per prevenirli, è importante che la società promuova l’inclusione, il rispetto e la comprensione tra le persone, creando un ambiente in cui ogni individuo si senta parte di una comunità più ampia e valorizzato per le proprie differenze.
Nel film, durante la discussione che avviene tra Hubert e Vincent nella toilette, un signore inizia a raccontare la storia di quando lui e il suo amico erano stati deportati in Siberia:
“Voi credete in Dio? Non bisogna domandarsi se si crede in Dio, ma se Dio crede in noi”. Inizialmente sembra una riflessione a sfondo religioso, ma è una domanda con molteplici interpretazioni: “Dio provvede a noi, ma l’essere nominato non è altro che la raffigurazione dello stato, Egli è il sistema.”
Lo spettacolo teatrale Io odio. Apologia di un bulloskin, di Valentina Diana (2022), riprende lo stesso tema, ma ambientato nei giorni nostri attraverso i canali social. Qui l’odio non è da parte o contro le minoranze etniche, ma proviene dai cittadini che non si sentono rappresentati, e sentendosi sempre di più abbandonati e lontani da uno stato di appartenenza a una comunità, iniziano a covare quello stesso stato d’animo ostile e distruttivo. Diventano degli haters (odiatori social).
Ma cos’è lo stato? La parola “stato” deriva dal latino status, che significa “condizione, posizione, stato”. Il termine è stato poi adottato in italiano, con l’uso della lettera iniziale maiuscola, anche per indicare una forma di governo di un territorio o di una nazione, il cui potere e autorità sono esercitati da un governo centrale. Tuttavia, la riflessione che il film di Kassovitz vuole proporre sembra concentrarsi sulla percezione che la gente comune, soprattutto i soggetti più disagiati, ha della politica e della situazione sociale. Notiamo come in Italia tendiamo spesso a pensare che queste realtà siano distanti da noi, dimenticandoci che noi ne siamo parte integrante. Anche quando apparteniamo a un centro periferico della società, ovvero un punto di riferimento significativo ma spesso ignorato o marginalizzato, dovremmo guardare dentro di noi per capire come possiamo apprezzare o cambiare ciò che ci circonda. Invece ci affidiamo e deleghiamo le nostre responsabilità sociali a leader che consideriamo come dei salvatori o carnefici, senza renderci conto del potere, dei diritti e dei doveri, che abbiamo come individui pro-attivi. Dovremmo invece chiederci se vogliamo continuare a essere spettatori passivi delle sofferenze del nostro paese o se vogliamo fare la differenza e diventare attori del cambiamento.
In sintesi, opere artistiche di forte impegno etico come quelle qui citate ci ricordano che siamo parte integrante della politica e della situazione sociale in Italia. Nel finale del film troviamo Vincent che riprende le parole dette dal signore anziano: – “Il vecchio non crede in Dio, Vinz non crede allo Stato”. Hubert risponde che anche se non credi allo Stato è lui che provvede a te; ha uno sguardo molto più positivo e spera in un cambiamento anche se viviamo in un periodo storico dove molti sono diventati cinici, indifferenti e rassegnati. È invece fondamentale riconoscere e respingere le ingiustizie, senza pensare che siano troppo distanti da noi anche quando non lo sono, facendo sentire la nostra voce senza cadere nell’odio.
Immagine in evidenza: Beauty Wanitta, illustrazione de La haine, realizzata con Blue Willow AI.