Recensione del film Sound of Metal
di Beatrice Monaco
Nel 2021 tra i film candidati agli Oscar, si è fatto strada silenziosamente il film di Darius Marder, Sound of Metal, interpretato da pochi ma eccellenti attori che mai prima d’ora avevano interpretato ruoli da protagonisti.
Con sei candidature, il film racconta la vicenda di Ruben interpretato da Riz Ahmed, un batterista che insieme alla compagna Lou (Olivia Cooke) hanno dato vita ad un duo metal e ad un tour che li porta ad esibirsi ogni sera in un luogo diverso. Entrambi hanno fatto della loro musica cantata, suonata, urlata e talvolta esasperata, un’àncora di salvataggio, un guscio di protezione dal turbine feroce della loro vita e per Ruben, in particolare, è stata la via d’uscita dalla tossicodipendenza.
La pellicola si apre con una carrellata di suoni che caratterizzano la quotidianità dei due giovani: primi fra tutti i suoni dei loro concerti e del pubblico che li acclama, ma anche il banale e fastidioso frullatore con cui Ruben prepara la colazione, il dolce suono del giradischi con cui i due si concedono balli romantici, le gioiose chiacchierate durante i loro viaggi in camper. Tutto ciò che il protagonista ancora ignaro sta per perdere.
Di lì a poco infatti il mondo intorno a lui comincia a farsi ovattato, distante, incomprensibile trascinando con sé lo spettatore che, da questo momento in avanti , sarà portato a sentire il mondo circostante con le orecchie del protagonista, in un percorso di continua immedesimazione e allontanamento che gli renderà tangibile il senso di angoscia, rabbia e impotenza provati dal batterista.
La diagnosi infatti per Ruben è chiara: l’aggravarsi dell’acufene gli ha lasciato un residuo minimo di udito che lo porterà alla completa sordità. Vi è la possibilità di sottoporsi ad un intervento per ottenere un impianto cocleare che amplifichi i residui minimi di udito ma i costi da affrontare sono molto alti.
Il mondo intorno a lui si frantuma:il silenzio comincia ad avvolgerlo con le sue maglie strette, tutta la sua vita intorno alla musica, alla creazione del suono, ai concerti, sfuma rapidamente lasciandolo in un baratro vuoto e solitario.
Comincia così il suo percorso nel mondo della sordità. Ruben è costretto a lasciare tutto per entrare in una comunità di sordi che possa aiutarlo a riprendere in mano la sua vita. Qui conosce Joe, interpretato da un magnifico Paul Raci, attore e figlio di genitori sordi, che per la prima volta porta un ruolo di rilievo sul grande schermo. Joe è un ex alcolista sordo che gestisce la comunità fondata su ideali forti e da tutti condivisi, primo tra tutti l’accettazione della propria condizione che in nessun modo deve essere intesa come un handicap, un qualcosa “a cui rimediare” o “da sistemare”. Le persone della comunità non sono non-udenti, ma semplicemente sordi.
Il processo di immedesimazione attuato dal regista si fa qui assolutamente eccezionale. Lo spettatore che ha cominciato a “perdere l’udito” con Ruben, ora lo affianca nella conoscenza della lingua dei segni americana. Marder sceglie infatti di non sottotitolare le prime conversazioni in lingua dei segni in cui il protagonista si trova coinvolto e spaesato, facendoci esattamente sentire partecipi di questo percorso, immersi in questo senso di alienazione che ci porta al desiderio di voler conoscere la lingua .
Il mondo ci viene presentato solo attraverso i primi piani delle espressioni facciali di Riz Ahmed, dal suo sguardo attonito e perso.
Dopo un primo inizio ostico, Ruben si inserisce pienamente nella comunità divenendo un punto di riferimento non solo per gli adulti ma anche per i bambini sordi con cui ha intrapreso le lezioni in lingua dei segni e ai quali ha insegnato a suonare le percussioni. Ma nonostante questa apparente felicità, in lui ribolle incessante il desiderio di poter ottenere l’impianto cocleare nella speranza di riavere indietro la sua vecchia vita, il fremito della musica, il suono della batteria a cui ha dedicato tutto. Questa sua volontà non può che scontrarsi duramente con gli ideali della comunità, dalla quale sarà costretto, su invito di Joe, ad allontanarsi.
Ruben si sottopone quindi all’intervento ma una volta ottenuto l’impianto, le sue aspettative vengono drasticamente deluse, e insieme a lui ancora una volta, lo spettatore. Suoni dolci e duri diventano un tutt’uno, indistintamente metallici e fastidiosi, le voci perdono di calore ed emotività.
Il film si chiude quindi con un primo piano del protagonista che, insoddisfatto e turbato da questa nuova realtà percepita attraverso l’apparecchio acustico, ritorna volontariamente al silenzio del mondo in cui tuttavia può risiedere la sua vera voce.
Il film pone sicuramente un delicato sguardo sul mondo della sordità di cui forse si parla sempre troppo poco, basti pensare che in Italia la LIS, ossia la Lingua dei Segni Italiana, è stata legalmente riconosciuta soltanto nel 2021 benché dal 2006 l’assemblea generale dell’ONU con la convenzione sui diritti delle persone con disabilità, intimasse gli stati membri a riconoscere, sostenere e diffondere la lingua dei segni del territorio nazionale. Ma quanti interpreti troviamo in luoghi pubblici come i comuni, le poste, gli ospedali o semplicemente incontri letterari o conferenze? E nelle scuole, quanto un bambino sordo riesce effettivamente ad entrare in contatto con i propri compagni? Nelle scuole italiane infatti è raro trovare un interprete Lis poiché è più diffusa la presenza dell’assistente alla comunicazione, un professionista esperto della comunicazione con l’alunno sordo, presente tuttavia soltanto 10 ore a settimana. Ancora, se si pensa agli eventi culturali, a quanti di questi una persona sorda può partecipare? Soltanto dal 2020 ad esempio la Rai ha introdotto in occasione del festival di Sanremo la presenza dei LIS Performer, i quali non sono soltanto traduttori ma veri artisti che impiegano il proprio corpo e le loro espressioni del viso per cercare di restituire alle persone sorde anche solo in piccola parte quelle emozioni e sensazioni che noi proviamo ogni giorno ascoltando la musica o assistendo ad uno spettacolo.
Iniziare a introdurre conoscenze di base della Lis anche agli udenti potrebbe essere ad esempio un grande passo avanti per tamponare tutte queste mancanze ma soprattutto per permettere a tutte queste persone di farsi sentire.