di Francesca Gualandri
Ogni essere umano nella propria esistenza cerca di definirsi e di trovare un’identità accettabile per il mondo esterno senza tradire troppo il suo essere. C’è sempre una negoziazione tra le istanze interiori più profonde e le richieste del mondo. L’esito di questa negoziazione produce in noi solide convinzioni su noi stessi e sugli altri e ci induce a mettere in scena un gioco di maschere da cui emergono personaggi principali, personaggi secondari e personaggi rinnegati che, a seconda del contesto, si alternano, si alleano o entrano in collisione. Per coro interno mi riferisco alla pluralità di personaggi e voci che abitano il nostro mondo interiore, alla dinamica relazionale che mettono in atto tra loro e al modo con cui si rapportano al mondo esterno decidendo quali parti di noi mostrare agli altri, quali proteggere e riservare solo alla dimensione intima e quali invece nascondere, persino a noi stessi. La nostra voce rappresenta, ad ogni istante, la manifestazione sonora di questa dinamica corale. Da bambini esploriamo con grande creatività e libertà le infinite possibilità sonore della nostra voce, in modi a volte spiazzanti e con un’intensità sonora spesso sorprendente. L’apprendimento del linguaggio, soprattutto quello istituzionalizzato, incanala e riduce la ricerca spontanea per dare spazio al significante. Viene operata così una selezione sulle componenti sonore della voce – timbro, registro, tempo, ritmo, intensità, prosodia – in base ai modelli vocali ricevuti dalle figure di riferimento, portandoci ad imitare quelli con cui ci identifichiamo e a rifiutare la mimesi con quelli con cui abbiamo un rapporto conflittuale o ambivalente. Questo processo crea la nostra identità vocale e inconsapevolmente pensiamo: “la mia voce è così”, come fosse un dato genetico. La voce però non è materica, è immateriale, è vibrazione, e quindi non è data una volta per tutte, sono gli automatismi con cui ad ogni istante confermiamo quelle caratteristiche vocali che ci danno quell’impressione. Ritornare a sperimentare tutte le potenzialità sonore ed espressive della voce riconfigura la percezione del nostro corpo e della nostra psiche espandendo la conoscenza di noi stessi. Ci sono molti modi di giocare con la propria voce, uno di quelli più rivoluzionanti è l’improvvisazione. Di solito l’espressione spontanea e il censore interno contrattano incessantemente rispetto a ciò che si può dire o non dire, fare o non fare. Quando improvvisiamo con la voce su un giro armonico ciclico, questa dinamica viene superata grazie al fatto che il flusso musicale scorre ininterrotto non lasciando spazio al ragionamento. Il cantante ne ha inizialmente paura e vergogna, ma va avanti; non si piace, ma respira. A un certo momento comincia a emergere una memoria musicale e a delinearsi naturalmente una linea melodica. Smette così di ascoltarsi dall’esterno e contatta il piacere del suono e del fluire con la musica. Anche l’interpretazione del repertorio musicale, indipendentemente dal genere, offre l’opportunità di incontrare e dar voce ai personaggi del coro interno. Il mondo immaginale che la composizione musicale evoca, permette di abitare spazi, emozioni e figure archetipiche che entrano in risonanza con i nostri coristi nascosti o rinnegati che finalmente cantano. Dando loro voce, liberiamo anche una grande energia che prima rimaneva compressa. Nella dimensione ludica e artistica la presa del censore interno si allenta permettendoci di esperire un’immagine di noi stessi più complessa, più ricca di sfumature e potenzialità.