di Fabio Oggero
I quasi due, lunghissimi, mesi di lockdown che hanno chiuso tutta l’Italia sono stati un’occasione unica per vedere le città e i loro spazi con occhi nuovi, in un momento inaspettatamente sospeso che ha quasi negato uno dei sensi più profondi del loro essere. […]
L’arrivo della pandemia ha offerto una chiave di lettura della città che difficilmente si ripresenterà. […]
Le foto di Fabio Oggero propongono un ripensamento del rapporto con lo spazio urbano torinese e il tempo: uno spazio “svuotato” e un tempo “sospeso”. I tempi del lockdown hanno permesso di rendere Torino il soggetto di un grande scatto fotografico totalmente inedito, dai tempi di esposizione straordinariamente dilatati. Queste condizioni eccezionali hanno consentito di restituire una visione lenta e un lavoro di documentazione inedito e meditato, concentrato su uno spazio urbano cristallizzato e quasi immutabile. Raramente Torino ha potuto essere raccontata attraverso un’assenza così totale e diffusa che non è mero vuoto, ma consente di costruire un nuovo racconto urbano.
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Sono stati selezionati luoghi a cui la prolungata assenza di movimento ha regalato una nuova vita, temporanea e silenziosa, da indagare nei suoi nuovi valori, documentando e raccontando aree estremamente diverse fra loro: dalle piazze e gli edifici aulici del centro storico alle periferie del secondo dopoguerra, oggi abitate e ormai semiabbandonate dall’industria in ritirata; dalle grandi infrastrutture di accesso a Nord e a Sud della città alle nuove icone della contemporaneità, come i grattacieli simbolo per eccellenza del lavoro di ufficio, o Porta Susa, monumento ai nuovi collegamenti ad alta velocità; dal mercato di Porta Palazzo, solitamente brulicante luogo di incontro di nuova e consolidata immigrazione ai nuovi poli commerciali.
L’apparente assenza della vita, delle persone e del loro movimento ha consentito di restituire Torino nelle sue scenografie più pure, senza distrazioni, rumori di fondo o distorsioni, aprendo a nuove e diverse possibilità di relazione tra gli spazi antropizzati e gli spazi naturali.[…]
La depurazione dallo scorrere della vita, fatta di persone, spostamenti, ingorghi e movimento, ha restituito lo spazio a una visione più limpida e consapevole della sua dimensione, delle sue forme, dei suoi limiti e delle sue potenzialità. Il risultato è un ritratto privo di giudizio, che pone domande senza dare risposte.