Intervista a Davide Vigore, regista e sceneggiatore
di Lucia Cammarata
Incontro Davide Vigore nel suo rifugio ennese, una casetta di campagna nei pressi del lago di Pergusa.
È il 28 dicembre e ricorre l’evento che segnò la nascita del cinema: le prime proiezioni dei fratelli Lumière nella stessa data del 1895. I primi cortometraggi proponevano scene di vita quotidiana: operai all’uscita da una fabbrica, un treno che rientra in stazione: un piacevole passatempo, “un’invenzione destinata a non avere alcun successo”. Da allora il cinema si è molto evoluto.
Anche Davide ne ha fatta di strada: ritrovo un uomo sicuro di sé e delle sue scelte, che descrive minuziosamente tutto ciò che accade intorno o che semplicemente sta filtrando quel che vede con sensibilità e consapevolezza. Ma accanto a lui siede lo stesso ragazzo che conoscevo, che si batteva a scuola con preside e professori proponendo progetti di cineforum, che corrompeva gli amici facendoli diventare attori e comparse nei suoi primi videoclip, con la promessa di aprire le porte della casetta in campagna, la stessa dove mi ritrovo dopo anni, a feste e banchetti. Spot, documentari, cortometraggi, Loro di Sorrentino nelle vesti di assistente alla regia, le collaborazioni e i tanti festival nei quali presenta i suoi film lo portano lontano dall’isola, la Sicilia, dove tornando si dedica alla scrittura, esercizio ormai costante e momento di intimità con se stesso.
Prima di essere sceneggiatore e regista, tu sei stato dall’altro lato dello schermo, un fagocita di film. Che differenza noti adesso che stai dalla parte della macchina da presa?
Mi annoio meno. Il cinema è un ottimo strumento per viaggiare, incontrare altre persone, capire come si sta al mondo. È un buon modo per scoprirsi personalmente, intimamente, ma più sei intimo più diventi universale: se racconti di un amore mancato, parli della nostalgia, della memoria, della fanciullezza, del futuro incerto… quello che riguarda me può riguardare anche te. Vivo ogni volta una vita diversa, la mia biografia cambia da un film all’altro.
È come fare un viaggio: puoi vedere documentari sull’America, sull’Africa, sull’Antartide, comunque vedi un mondo, ma non è la stessa cosa se viaggi e raggiungi quei luoghi.
Fare un film è come prendere un biglietto e partire.
Ti sei mai trovato a dover scendere a compromessi per realizzare i tuoi film?
Scendere a compromessi equivale a morire in vita. Tendo a non farlo. Finché non faccio parte del grande cinema industriale posso permettermi delle libertà…il mio è un cinema indipendente ed è proprio l’indipendenza che mi regala la libertà. Ti confesso che non sono capace di girare qualcosa che non scrivo io; qualche volta mi hanno proposto delle bellissime sceneggiature ma non ero in grado di metterle in scena proprio perché non facevano parte del mio mondo. Non mi sento un maestro, sono uno che esce la sera e uscendo incontro persone, vedo il mondo con occhi sempre diversi…quello che mi accade è il motore della mia produzione, se non vivo non faccio film. Questo 2020 che ci ha limitati a stare nelle nostre case è stato l’anno in cui ho scritto meno.
Forse l’unico compromesso che ho accettato è stato quello di non vivere più in Sicilia. Se voglio fare questo mestiere devo vivere a Roma, non perché mi ispiri più di altre città, anzi. Palermo rimane la città che mi ha ispirato più di tutte; Roma ti dà la possibilità di frequentare ambienti e persone che possono essere utili per la tua crescita. Allora sì, il compromesso è non vivere una certa bellezza che si annida nella Sicilia.
Melino Imparato, attore teatrale, è protagonista del tuo short film La bellezza imperfetta, vincitore del premio Best Short Film al L.A. Festival of Cinema. La relazione che si è creata ha subito modifiche o adattamenti dovuti alla differente provenienza artistica?
Melino non aveva fatto altre esperienze di cinema, era al suo esordio cinematografico come attore protagonista. Quando scelgo i miei attori non mi preoccupo della loro provenienza artistica o lavorativa; Victoria, la co-protagonista, è una ragazza che studia economia. A volte mi imbatto in alcune fattezze fisiche e gestuali, il tono della voce, il modo di portarsi i capelli dietro l’orecchio, è quello che diventa determinante per la scelta di un attore. Sono molto preciso nella sceneggiatura, ciò mi avvantaggia e mi evita tanto lavoro dopo. Racconto nel dettaglio chi è il personaggio, come si veste, il modo e il mondo in cui questo personaggio si muove, per avere poi la possibilità di prendermi delle libertà ma sono le persone, nella vita reale, anche quelle incontrate per caso, che mi concedono quelle libertà ed impreziosiscono il personaggio. Non metto in bocca molte battute, mi interessa l’impatto visivo; i volti raccontano più delle parole. Melino, con la sua voce rauca da fumatore, con le sue camicie sbottonate a lasciar intravedere lo sterno, aveva sempre caldo e contemporaneamente mostrava una certa fragilità…avrebbe funzionato anche se in tutto il film non avesse detto una parola.
Pietro Marcello, Gian Paolo Cugno, Daniele Ciprì, Paolo Sorrentino… sono alcune tra le tue collaborazioni più conosciute. Quanto del loro fare artistico c’è in te e nel tuo lavoro?
Da ognuno di loro ho rubacchiato qualcosa, diciamo più nel metodo. Di Paolo mi piace molto la scrittura, leggo i suoi libri e ho avuto la fortuna di leggere le sue sceneggiature, qualcuna anche in anteprima, e questo mi ha dato la possibilità di capire come poter trasmettere il mio immaginario attraverso la scrittura; Pietro Marcello è un “militare” del cinema, ha il suo metodo schematico, organizzato, folle per certi versi; da Ciprì ho colto il suo continuare ad essere bambino, affrontare un film come se fosse un’attività ludica, non perdere quell’atmosfera fanciullesca, il piacere del gioco, l’amore del fare un film senza mai tramutarlo in lavoro, con lui è sempre come fare il primo film; da Gian Paolo ho capito invece tutto quello che non avrebbe fatto parte del metodo che ricercavo, mi è tornato utile proprio per il fatto di essere molto lontano da lui. L’esperienza del set è un buon modo per crescere, ti fa capire come parlare agli attori, come relazionarti con la troupe. Prima di loro i miei set si costruivano attorno ai miei amici, improvvisati con carrello della spesa per fare i movimenti macchina, con una telecamera senza batteria, alimentata da prolunghe lunghissime…un atteggiamento da scampagnata, quella stessa che minacciavo di non organizzare se non avessimo terminato le riprese.
Per fare cinema devi saper rubare, se sai farlo puoi diventare un bravo regista. Quindi mi sto adoperando per essere un grande ladro.
Nel film La viaggiatrice si può cogliere una doppia lettura della libertà: quella legata all’indipendenza economica e quella che conduce la protagonista ad abbandonare tutto e a sfidare l’ignoto. Secondo te quale delle due libertà prevale di più oggi? La stabilità, che ci da’ la sensazione di essere liberi di fare ciò che vogliamo, partire, viaggiare, comprare casa, o quel punto interrogativo sul futuro con la sola spinta propulsiva di inseguire i propri sogni?
Credo che cambi da individuo a individuo. La viaggiatrice dice una frase molto significativa a tal proposito che può fornirti una risposta soddisfacente: “il coraggio è l’unico modo che abbiamo per cambiare le nostre vite”. Il passato e il futuro sono due tempi che non esistono, il presente è il tempo più importante; non sono un matto, penso alla mia vita, ai miei desideri e sono proprio quelli che mi hanno portato a cercare l’imprevisto piuttosto che un impiego in banca. C’è chi preferisce la routine: una moglie, dei figli, il mutuo della casa pagato al 50%, il calcetto il giovedì e prendere la pizza il sabato, se cambia qualcosa vivono male.
Io ho preferito scrivere film, sapere sempre come va a finire e decidere tutto: interno, esterno, la bacia, non la bacia, parte, non parte.
La mia vita non la comando e mi piace non sapere qual è la scena dopo, non avere un finale scritto.
YouMovie, un’idea nata durante la quarantena.
Ecco l’imprevisto. Dovevo realizzare per la Regione Sicilia un festival di cinema, poi è scoppiata la pandemia e allora ho pensato: perché non creare un canale per il cinema indipendente? Con la pandemia, infatti, festival e rassegne culturali vengono a mancare. Dunque ho proposto alla Regione e al Consiglio dei Ministri l’alternativa. Sento Lucio Luca, giornalista di Repubblica, gli racconto l’idea e il giorno dopo trovo l’articolo su YouMovie in prima pagina: da quel momento la mia vita è cambiata. Mi hanno chiamato produttori, distributori, grandi registi e sono entrati in gioco degli investitori. La piattaforma era pronta per uscire ad ottobre 2020 ma dopo quell’articolo l’idea si è arricchita, non solo di contenuti ma anche in termini economici. E’ uno spazio dedicato a tutto il cinema che uno spazio non ce l’ha, che è poco conosciuto proprio perché fuori dalla grande distribuzione; una vera e propria cineteca nazionale dove si terranno dibattiti sul cinema, un luogo dove le persone che lavorano nel mondo dello spettacolo possono ritrovarsi, scambiare idee e fare progetti. La differenza con le altre piattaforme, alle quali accedi il più delle volte pagando un abbonamento, è che qui si punta sulla forza della community: tu sei parte integrante di YouMovie, caricando i tuoi lavori e partecipando al dibattito.
Cosa vedremo di tuo prossimamente?
Dream è un minicorto per la Regione Sicilia dove si racconta lo scavallare dall’età fanciullesca all’età adulta: un ragazzo che in un piccolo paesino ha un grande desiderio, quello di correre a cavallo durante una delle feste più importanti di Buonriposo. Questo non gli viene concesso perché tocca al fratello più grande; troverà una strada più complessa per raggiungere il suo sogno. È uno spot per promuovere il territorio e per raccontare anche un pezzetto della mia infanzia, un mondo atavico: i calcinculo, le giostre, uno spaccato che io amavo tanto e che ho perso, così ho voluto in qualche modo fotografarlo. Poi ho scritto un romanzo, Fuorigioco, prendendo spunto da un documentario fatto nel 2015, la storia di Maurizio Schillaci ex calciatore palermitano. Il documentario, seppur sia stato molto apprezzato e premiato, per me non era che un punto di partenza, la storia non si era esaurita. Sto affinando la scrittura e ci sono 3-4 case editrici interessate a pubblicarlo. Sto aspettando: non voglio un’uscita online per il mio primo romanzo, vorrei farlo uscire incontrando un pubblico.
* Fuorigioco, edito da Augh Edizioni, è stato presentato il 12 luglio 2021 al Rouge et noir di Palermo.