La voce del silenzio e il silenzio della voce

di Elena Chantal Squillari

“La voce del silenzio – è un suono che ricarica, che ricorda qualcosa di antichissimo e di perduto e nutre un bisogno senza nome insegnandoci ad abbandonarci anziché ad andare a caccia. Insegna senza contenuti, si torna più saggi dopo averlo frequentato, ma non si sa di cosa.”1

La comunicazione come relazione fra gli opposti.
La Voce e il Silenzio sono opposti ontologicamente disposti in una relazione, da cui si genera un tutto. La condizione di esistenza della Voce è il Silenzio, a sua volta il Silenzio è, esiste come, mancanza di Voce. Scrivendo le lettere si dispongono sulla pagina bianca che le incornicia, le definisce, le rende uno spazio comunicativo aperto, infinito. Sulla vuota e silenziosa pagina le nere lettere si definiscono e si pronunciano. Il rapporto fra le parole scritte e la pagina (sulla quale e grazie alla quale esse sono), rendono significante anche il silenzio della pagina bianca, in un’espressività la cui condizione di esistenza è data dagli a capo, dai vuoti che rendono significanti i pieni e viceversa.

”Il silenzio che precede la musica e quello che la segue sono musica”2

Nella relazione che inevitabilmente intercorre fra gli opposti, nel dialogo tra la Voce e il Silenzio, si definisce il loro essere, nella loro reciprocità ontologica si reifica la loro essenza. Il dialogo, il porsi in relazione e quindi la comunicazione, sono elementi costitutivi della relazione che intercorre fra la Voce e il Silenzio. Ma a loro volta necessitano strutturalmente della Voce e del Silenzio per potersi attuare. Quando noi parliamo, la voce si dà innanzitutto come phoné, come canto o atto, quando emettiamo una voce non è ancora l’Io che parla. L’Io parla solo nel silenzio che precede e segue la voce. La phoné diventa logos nel silenzio che la circonda.
“Caro silenzio, aiutami a non parlare di te, aiutami ad abitarti. Addestrami. Disarmami. Tu mi insegni a parlare. Eccomi, mi lascio rapire. Non lascio niente a casa, niente di intentato. Ci sono. In te. Arte del congedo per ritrovare. Arte dell’a-capo che insegna a lasciarsi scrivere. Il silenzio semina. Le parole raccolgono. Il silenzio è cosa viva”3.

La questione della comunicazione e del rapporto fra Voce e Silenzio, inevitabilmente ci costringe a riflettere sul Linguaggio – forma di condotta comunicativa atta a trasmettere informazioni e a stabilire un rapporto di interazione che utilizza simboli aventi identico valore per gli individui appartenenti a uno stesso ambiente socioculturale4.

“Il linguaggio è come l’atmosfera, si respira e si vive in esso in modo trasparente, e ne percepiamo l’esistenza soltanto quando ci mancano le parole o l’ossigeno. Il linguaggio può essere oggettivato soltanto se si ascolta, per così dire, dal di fuori.”5

La definizione di Linguaggio sopracitata, pone l’accento sulla presenza dell’Altro, infatti il passaggio attraverso l’Altro da è ciò che dà alla voce significato. La parola ha senso soltanto se qualcuno la recepisce, per cui la dimensione dell’Ascolto è dunque fondamentale perché vi sia una qualsiasi forma di comunicazione. Il rapporto con l’Altro mediante la voce è ciò che permette la costituzione del soggetto che per necessità si indirizza verso il suo opposto, questo perché il soggetto necessita di un confronto per potersi identificare e definire, tale confronto avviene grazie alla voce, che si inserisce nel dominio dell’altro per poi ritornare al soggetto che si è espresso, la voce diventa così voce dell’Altro, che ritorna al soggetto definendolo. Il soggetto parlante non si appropria mai della propria voce, se non quando ascoltata dall’Altro, per cui se da una parte la voce permette il riconoscimento di sé, dall’altra è sempre esterna. Pensare è sempre pensare con un Altro, anche se quest’Altro siamo o crediamo di essere noi stessi.6

“Non solo c’è chi non sa o non può parlare, ma c’è anche chi decide di non sentire. Prestiamo ascolto gli uni agli altri, poiché senza un tu non c’è parola. Se accettiamo come facciamo ora, che la comunicazione – e non l’espressione – è la funzione fondamentale della libertà di opinione, allora presupponiamo un destinatario per ogni emissione”7.

La definizione di Linguaggio evidenzia anche come oggi la comunicazione fra i soggetti implichi l’utilizzo di un codice fatto di “simboli aventi identico valore”, spesso e volentieri il linguaggio si dà come testo scritto. Con la scrittura alfabetica sono rese visibili le cellule fonetiche elementari, la voce veicolata dalla scrittura non si coglie più unicamente mediante l’udito, ma la si percepisce grazie alla vista. Con la percezione visiva della voce si perde il rapporto con il Parlante e l’aleatorietà dei suoni. Già Platone nel Fedro sosteneva che chi ha inventato la scrittura ci ha condannato all’oblio, alla perdita della memoria. Stiamo perdendo la capacità mnemonica perché abbiamo consolidato in noi l’idea di poter ricordare leggendo. La parola scritta è (quasi) permanente, al contrario della comunicazione orale che è fuggevole e necessita quindi di una capacità di ascolto attento, capace di cogliere le sfumature sonore del silenzio e i dettagli silenti della voce. La voce ha una forza che precede, genera ed eccede la comunicazione verbale, forse è anche per questo che il sonoro, la voce nella miriade di sfumature che può assumere, è un aspetto della percezione acustica destinato a sfumare, per lasciare dominare il concetto e la sequenzialità logica, l’immediatezza e la facile fruizione, il significato condiviso.
“Le conversazioni nel nostro quotidiano si intersecano le une con le altre, come se danzassero insieme: le parole che diciamo e ascoltiamo formano sequenze, storie, abitudini, consolidano credenze e identità”.8

A proposito di linguaggio è bene anche ricordare che esso è ciò che delimita il pensiero e le sue possibili concatenazioni. La lingua secondo U. Galimberti, stabilisce un’identità strettissima fra la parola e la cosa, rendendo impossibile la separazione fra la denominazione di una cosa e il riconoscimento di essa.9

La celebre frase “nessuna cosa è dove la parola manca10 di Stefan George (1919), evidenzia come la parola è ciò che porta in luce e definisce l’esistenza di una cosa, di un avvenimento, di una persona (e della sua identità).

Oggi oltre ad aver perso la dimensione dell’Ascolto e quindi la sensibilità rispetto alla Phoné, pare che il fenomeno della perdita della memoria come conseguenza all’alfabetizzazione si stia ulteriormente amplificando. Infatti con la digitalizzazione e con il progressivo dominio delle immagini sulla parola, la visione come mezzo di comunicazione e di interazione domina sull’ascolto e sulla lettura. Il problema non è la visione in sé – perché dall’osservazione visiva della realtà l’uomo apprende, fa esperienza per poi relazionarsi, con le cose e con gli altri, per mezzo della voce – ma è che il dominio della visione tende ad escludere e a rendere minoritari gli altri mezzi percettivi ed espressivi.

La visione nel XXI secolo ci appare, per lo più, mediata da dispositivi digitali, in una dimensione virtuale, in cui l’uomo proietta la sua esistenza e definisce la sua identità grazie a delle immagini che sono simulacri di se stesso. Viene a mancare la lentezza, la profondità, la selezione del sapere. In favore della velocità, della superficialità e dell’opulenza informativa.11

Mediante i Social Network, prendono vita costantemente miriadi di contenuti di ogni sorta (conversazioni, dialoghi, sorrisi, volti, notizie, ecc), attraverso uno schermo l’uomo si illude di poter potenzialmente ascoltare o meglio vedere tutto. Ma vedere – ascoltare tutto è impossibile, perché la parola, la voce come precedentemente detto necessita della pausa, del silenzio. In rete ci sono così tante “voci visive” che difficilmente ci possiamo rendere conto dell’equilibrio perduto fra Voce e Silenzio, forse proprio perché nella comunicazione dominata dalla visione, sono le dita, lo schermo, il T9, che dispongono segni, estremamente slegati dalla dimensione della Voce come espressione intima e relazionale, spontanea, fuggevole e densa di contenuti. Di conseguenza anche “l’ascolto visivo” rende nullo il bisogno del silenzio, non ci fa sentire il chiasso che fanno tutte le immagini che ci circondano.

Risulta chiaro come la percezione visiva, di sé e dell’Altro, che oggi tende a diventare dominante, scardini l’equilibrio fra gli opposti, che sono il tutto e condizione dell’esistenza. La visione sottomettendo gli altri sensi genera uno squilibrio percettivo e quindi cognitivo ed espressivo.

“Gli smartphone, le reti sociali e il populismo semplificatore contribuiscono all’accumulo, alla fugacità e al carattere effimero di ciò che si dice e si scrive. La quasi completa alfabetizzazione della società è traboccata in “infossicazione”.12
Abbiamo perduto la voce del silenzio e il silenzio della voce, il dialogo, la comunicazione, la nostra identità. Siamo mutilati, “infossicati”, persi nell’era del post, costretti a vedere, a postare, a prendere posizione, senza memoria e senza capacità di ascolto. Diamo quasi unicamente importanza a come appariamo e a ciò che appare, siamo dimentichi del valore delle parole. Un saggio diceva: ”non è un caso se abbiamo due orecchie e una lingua soltanto, la ragione è che dobbiamo ascoltare di più e parlare di meno.” Per ritrovare la dimensione dell’ascolto, la parola significativa, per scardinare la visione e l’infossicazione bisogna cercare di sviluppare un senso critico, ripristinare la dimensione del silenzio in ogni sua forma perché solo dal silenzio può originarsi una voce che sia degna di stimolare nel passivo fruitore di parole visive la dimensione dell’Ascolto, del dialogo con l’Altro da Sé.

La voce del silenzio ha bisogno di essere ascoltata, il silenzio della voce necessita di suoni che lo parlino, che lo riportino in vita.
Elena Chantal Squillari, Http, 2020.

Note:

  1. Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva, Einaudi, 2018.
  2. Chandra Livia Candiani, op.cit.
  3. Chandra Livia Candiani, op. cit.
  4. Oxford Languages,https://languages.oup.com/google-dictionary-it/,[ultima consultazione 08/04/2022]
  5. Daniel Gamper, Le parole migliori, Treccani, 2021.
  6. Daniel Gamper, op. cit.
  7. Daniel Gamper, op. cit.
  8. Anna Lisa Tota, Ecologia della parola, Einaudi, 2020.
  9. Umberto Galimberti, Il corpo, Feltrinelli, 2013.
  10. Stefan George, Das Wort, 1919.
  11. Paolo Ercolani, Social? Soggetti in rete, oggetti nella realtà, Festival della filosofia 2019.
  12. Daniel Gamper, op. cit.

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