di Leonardo Caffo
con le fotografie di Serena Lobosco
Un’importante università straniera mi ha invitato a tenere alcune lezioni su dei concetti cardine della contemporaneità. Dopo averci riflettuto parecchio, pur nel rischio di essere troppo ovvi, ho tentato di organizzare anche una di queste sei lezioni come conferenza sull’ecologia. Dire
qualcosa sull’ecologia nel 2020 è difficile e rischia di risultare retorico, eppure come potremmo mai selezionare delle parole chiave della contemporaneità senza inserirvi questa parola? È un termine recente, è stato Haeckel nel 1866 a usarlo per primo intendendo una parte della biologia volta ad analizzare le relazioni tra gruppi di organismi e il loro ambiente naturale. Viviamo, allo stato attuale delle cose, un rapporto con l’ambiente che è sbagliato anche solo nella frase che ho appena scritto – “rapporto con l’ambiente” – come se potessimo scappare da esso, lanciarci altrove come palline impazzite. Nel 2016 l’ormai famosissima SpaceX, l’azienda privata fondata da Elon Musk, ha iniziato a mostrare al mondo intero i piani di trasporto interplanetario per equipaggio umano finalizzato, tra le altre cose, alla costruzione di una colonia umana permanente su Marte a partire dal 2022 portando il primo uomo su Marte già nel 2024 (con le tecnologie attuali ci vorrebbero sei mesi circa) rendendo alla fine dello stesso anno stabile una colonia di 80000 persone sul pianeta rosso. È uno dei tantissimi (fantasiosi?) piani b nel caso di crollo generale delle condizioni climatiche del pianeta Terra, ma anche un marcatore importante della mia tesi esplorativa sull’ecologia:
piuttosto che la cura, preferiamo sempre una fuga anche se inverosimile e maldestra.
In filosofia, prima che nel dibattito pubblico, l’ecologia è diventata virale con l’introduzione da parte di Tansley del termine “ecosistema” – un’entità metafisica che dobbiamo rappresentarci come un intero sistema che include non solo il complesso degli organismi e delle comunità di organismi, ma anche l’intero complesso dei fattori fisici che si formano come relazione tra queste parti, ovvero l’ambiente del bioma o, per essere più chiari, i fattori dell’habitat nel senso più ampio del termine. Tansley ha sostenuto, generando un dibattito immenso senza il quale certamente non saremmo qui, che gli ecosistemi sono le unità di base della natura nell’universo, le molecole da cui tutto dipende. Il percorso da fare, per noi, è sempre quello di pensare come il meno limitante possibile il nostro campo visivo e provare ad allargarlo il più possibile – pensare da animali, da piante, da pietre, da nuvole, da funghi, da insetti.
Non ho nessuna passione per le filosofie descrittive, temo siano peggio di quelle iper-moraliste. Dire che siamo tutt’uno con la vita e poi non produrre nessuna conseguenza morale, parlare della comunanza con la vita non-umana ma poi non dire niente sulla postura da assumere, cullarsi su un’estetica qualsiasi senza fornire energia morale e trasformativa al mondo. Ho passione per i paesaggi collinari, fatti di increspature e modi contraddittori ma attivi di interpretare l’esistenza: l’ecologia non può essere solo una fotografia del reale, deve essere anche un sistema di mondi possibili verso cui orientare futuro. Una strana e impossibile polaroid del mondo che verrà. Pensiamo, per un attimo, all’ecologia non tanto come a una teoria filosofica sul benessere delle relazioni tra le cose, ma come a una pratica di vita per noi stessi. Sembra un approccio ovvio o retorico, invece cambia tutto: non tanto fare una cosa, ma provare a esserla. Fare ecologia senza tentare di capire cosa significhi letteralmente dipendere da un ambiente è davvero difficile, oggi molta della progettazione del futuro prossimo venturo passa da qui; tutti i discorsi fatti sull’uso di materiali diversi per costruire, su una diversa gestione della produzione di nuove tecnologie, le nuove gestioni delle risorse alimentari e minerali, perdono senso se non “installati” in una più ampia cornice di senso.
Ed è qui che vorrei provare a difendere la tesi più radicale riguardo l’ecologia: tutte le pratiche che non superano l’effetto soglia, cioè non impattano sul cinquanta per cento più uno della domanda-offerta, sono delle pratiche artistiche: fare la raccolta differenziata in Sicilia, la regione da dove vengo e in cui la spazzatura è gestita malissimo è arte, è arte il veganesimo, è arte il femminismo nei paesi patriarcali, è arte smettere di consumare plastica … diamo, questo vorrei provare a spiegare, significato morale a elementi dello spirito che competono la sfera puramente simbolica, concettuale. I limiti del nostro mondo sono spesso dati da categorie completamente scorrette, tipo il fattibile e l’infattibile, mentre invece la nostra vita è un fiume in piena che scorre nella dimensione simbolica; certo, l’ecologia sembra qualcosa di molto serio e connesso alla
scienza ma in fondo, anche la scienza, non è che uno strumento narrativo e simbolico per dire qualcosa su un reale che comprendiamo a stento. Con i dati in nostro possesso in questo momento, per nulla ottimistici, essere forme di vita ecologicamente orientate è un atto performativo – arte contemporanea pura con un retrogusto di disobbedienza civile per come la descriveva Thoreau: “Non sono nato per essere costretto. Voglio respirare liberamente”. Questo non significa che si può essere liberi, significa che si può volere essere liberi.
Il concetto da combattere quando si parla di ecologia è quello dell’efficacia immediata, altrimenti non ha più senso far niente. La dimensione artistica è molto più pervasiva e meno concentrata sul dominio istituzionale-artistico di quanto pensiamo: l’arte è ovunque. Moralmente la battaglia ambientalista è (purtroppo ma con onestà) già persa, mentre quella metafisica sulla connessione vitale tra le cose è ovvia ed è più qualcosa da scoprire che qualcosa per cui lottare. L’arte-ecologica, diciamo così, è quello che spinge i ragazzi ad andare a pulire le spiagge dai detriti, me a non mangiare animali, alcuni di voi probabilmente a scegliere i materiali per il progetto in accordo a una visione del mondo integrata all’ambiente in cui progettate. Ciò che fate non è utile, anzi non è mai stato così inutile, però è bellissimo e a suo modo servirà: ma non a cambiare il mondo, temo, ma a far vedere che avremmo potuto farlo.
È troppo poco? Eppure “la filosofia non è una teoria, ma un’attività” scriveva Wittgenstein, e fare qualcosa non necessariamente significa fare qualcosa di efficace; la contemporaneità ci trasmette uno strano senso di onnipotenza impotente – un ossimoro esistenziale a cui dobbiamo abituarci e con cui fare i conti è necessario. Pensiamo di poter fare attivismo raccogliendo firme online, partecipando a manifestazioni che coincidono con gli eventi di Facebook o di raccogliere sfide di cambiamento tramite video-contest su TikTok. L’ecologia, vasto insieme di tutti gli insiemi possibili di quelli che in metafisica si chiamano “oggetti naturali”, trascende ogni mimesi e gioco sul reale ed è la prova che a furia di provare a progettare il mondo abbiamo dimenticato quanto il mondo, con le sue geologie e mutazioni, può invece progettarci e dettare le regole del modo di vivere.
Qualcosa di profondo, nella nostra composizione spirituale, ci rende incapaci di sentire le tragedie come qualcosa di reale prima che accadano, o quando accadano all’altro da noi; l’ecologia come ambientalismo fallisce per questa ragione, cerca di provare a svuotare il mare della volontà di potenza di Homo Sapiens con il cucchiaio del moralismo. È Nietzsche, e la sua celebre accusa agli psicologi della morale, che torna a farsi carico di un realismo storico e filosofico decisivo oggi che la situazione è molto più pericolosa: niente cambia perché è giusto che cambi, le categorie solo completamente da riformare. In linea di principio, per risolvere i problemi ecologici, basterebbe un algoritmo dietro a una intelligenza artificiale che ci dicesse esattamente cosa fare: come mangiare, quanto inquinare, che cosa produrre. I dati ci sono, mancano le applicazioni. Questo non succede perché al di là dell’ormai già vecchio dibattito sulle intelligenze artificiali la nostra mente, quella umana e animale, è diversa: siamo nell’errore, nel vizio, nell’emotività, e finché i dati saranno quelli che sono essere ecologisti equivarrà a essere niente di più che artisti. E comunque è una cosa bellissima.