Una nota su artaud e 3 immagini anticovid
di Giulio Calegari
Da qualche tempo, guarda caso, mi ritorna, o meglio mi chiama alla riflessione, un pensiero legato ad Antonin Artaud.
In questi tempi, sarà un caso? Mi ripropongo di leggere il suo scritto “Il teatro e la peste”, raccolto ne “Il teatro e il suo doppio”.
L’ho fatto, e Artaud mi si è incollato addosso e, ancora una volta, mi ha gridato la sua libertà; che non è parola o concetto da spiegare, è altra cosa che costa assai, perché la si paga coi fatti, non a parole. Anzi, la parola stessa libertà autorizza alla più impudica menzogna. Come la maggior parte dei linguaggi del resto.
Di fatto per liberarsi ed esprimersi meglio il nostro utilizzava le glossolalie.
o vio profe
o vio proto
o vio loto
o théthé
Ci capisca chi se lo merita.
Peccato che il libro scritto in questa lingua pare gli sia stato rubato.
E la peste? “I miasmi di un virus venuto dall’Oriente…?” Intuita in sogno dal vicerè di Sardegna in quella notte di maggio del 1720? “…egli sa che nei sogni non si muore, che la volontà vi agisce sino all’assurdo, sino alla negazione del possibile, sino a una sorta di trasmutazione della menzogna da cui si riproduce la verità”.
Trasmutazione: dalle forme drammatiche e parossistiche, allucinatorie, surreali e spettacolari, che l’epidemia impone, nascono personaggi che associano la figura “…dell’appestato che corre urlando dietro alle proprie allucinazioni, a quella dell’attore che si lancia alla ricerca della propria sensibilità…”. Tra personaggi che senza la peste non sarebbero mai comparsi e quelli che il poeta inventa per affidarli al pubblico “…inerte e delirante …” si scorgono quelle analogie che “…pongono l’azione del teatro, come quelle della peste, sul piano di un’autentica epidemia.”
Analogie antitetiche però: da un lato le figure e i personaggi della pestilenza, sotto il dramma fisico, vanno esaurendo quella loro forza “spirituale” che, al contempo, da questa realtà sensibile sempre più si rafforza nelle immagini del teatro, della poesia, dell’arte per cercare un altrove.
Sarà così anche in questi giorni? Di certo la menzogna. Sempre! Da numerose voci, con infinite sfaccettature, per i gonzi o per chi crede di aver capito, per chi è libero di pensare e per chi è condizionato; per tutti, anche per quelli che credono che l’esperienza della peste porterà ad una maggior consapevolezza nel rapporto futuro tra gli uomini e la natura, una volta liberi.
Meglio le glossolalie kohan
taver
tensur
purtan
A proposito, per quanto mi riguarda appena posso mi esprimo contemporaneamente con figure, oggetti, musica e solo nella mia lingua, nel modo più semplice e simultaneo. Mi hanno compreso in conferenze e lezioni anche i più esotici uditori. — Che lingua parlavi? Che ho capito tutto anche se non so l’italiano – mi ha chiesto anni fa in un convegno uno studioso straniero. – glossolalia – ho risposto spudoratamente. E sono ancora convinto che fosse vero.
Le glossolalie non son forse il sogno di libertà verso un linguaggio universale che superi la menzogna ingessata di “funzione rappresentativa” della parola?
Per fortuna le menzogne stereotipate, consapevoli o innocenti non sono scorza così dura da soffocare la voce di Antonin Artaud che ci grida ancora
“C’è una maniera d’entrare
nel tempo,
senza vendersi ai poteri
del tempo.”
Mica male, vero?
E il povero Van Gogh, suicidato dalla società? Vogliamo parlare ancora di libertà per parlare di lui, in una cultura dove vige la libera menzogna?
Chiediamo aiuto ai personaggi giusti, per affrontare la peste e accogliamoli con la massima “libertà”.