di Marco Abrate, Lorenzo Gnata, Andrea Villa
Cosa induce gli esseri umani a pubblicare ininterrottamente contenuti sul web? Cosa li spinge a gettare in pasto a milioni di sconosciuti i propri momenti privati, le proprie giornate, la propria intimità?
Forse la paura di scomparire, di venir dimenticati, o di essere “banalmente” una delle quasi 8 miliardi di persone che popolano questo pianeta. Affidando ad un post la traccia, seppur labile, del proprio passaggio. Oppure, quel sogno mai tramontato di diventare qualcuno, anche solo per un istante, in nome di quei famosi 15 minuti promessi da Andy Warhol, oggi diventati a malapena 15 secondi.
Siamo moderni Narciso incantati da uno stagno di pixels, prossimi ad annegarci dentro.
L’evento antropologico della nostra epoca non è “la società del virtuale” ma la “società della paura”. Una realtà nella quale l’individuo, costantemente bombardato da informazioni, perde la sicurezza per la sua immagine fisica e rifugge la propria persona nella sua immagine virtuale. Paura causata dalla costante accelerazione del mondo postmoderno e dalla conseguente distrofia mentale di passaggio storico da una società materiale ad una immateriale, virtuale. La realtà reale e quella virtuale appaiono così inospitali, generando ulteriore confusione e spaesamento negli individui, portandoli alla convinzione di sapere solo quello che non si è. Inoltre, a compromettere questo delicato processo evolutivo, è l’uso, il più delle volte errato, che avviene da parte degli individui nei confronti della tecnologia. Un approccio inadeguato e pericoloso, dovuto alla mancata istruzione ricevuta, il cui compito, tra i tanti, sarebbe stato quello di guidare il singolo a non venirne sopraffatto. Invece, come ben sappiamo, il progresso tecnologico è stato ben più rapido di quello umano, portando le persone ad un ulteriore annichilimento delle stesse, cadendo in balia di algoritmi e dell’intelligenza artificiale, volti unicamente al profitto economico, rendendo tutto desiderabile e commercializzabile. Così, quello che veniva venduto come il mondo della libertà, diventa l’ennesimo (e maggiore) inculcamento di idee inutili finalizzate al plagio e al consumismo della persona. E il paradiso del web si trasforma nell’iconosfera: abitiamo le immagini e ne siamo abitati, influenzati, dominati, rendendole oggetti di culto. Il tutto assume così una luce alquanto sinistra, con la comunicazione sempre più standardizzata e l’istruzione formattata, inaridendo ulteriormente la creatività individuale.
In un simile contesto si inserisce il Viralismo, ossia il trionfo del virale, quasi il suo totalitarismo. Un movimento capace di giocare con le macchine e danzare tra gli algoritmi, che abbraccia il mondo virtuale e affida la sua esistenza all’eternità dei bit.
Che usa il potere del web come mezzo espressivo e che forgia un nuovo orizzonte artistico sfruttando le dinamiche mediatiche all’origine della viralità delle notizie.
Condanniamo con questo manifesto l’attuale utilizzo della tecnologia; per noi, è arrivato il momento di rispondere con molta severità all’approccio manipolatorio e dominante che vede nell’omologazione dell’individuo l’unica via percorribile. La tecnologia non è questo. Può e deve essere utilizzata in modo virtuoso, per creare nuove possibilità del reale e rafforzare l’identità del singolo.
Se usata con consapevolezza diventa un’opportunità unica, se non l’unica, per costruire un mondo migliore, ampliando l’esperienza reale. Uno strumento neutro malleabile dalla mente umana, che ora più che mai necessita di un salto evolutivo per non venirne sopraffatta. L’artista viralista avrà quale compito, dunque, quello di ricercare un equilibrio digitale, una sorta di bilanciamento zen capace di rappacificare le due realtà in cui vive, diventando la soglia tra due confini.
Agendo con una doppia frontalità, da un lato opponendosi all’omologazione, dall’altro sperimentando nuove vie percorribili, l’artista del Viralismo dovrà dare una direzione alla tecnologia, attraverso questi punti:
- Creazione di opere pensate per diventare virali, raggiungendo il grande pubblico, partendo da interventi micro-sociali.
- Fondazione di una rete globale di artisti impegnati sullo stesso fronte.
- Interventi nati per il virtuale, ma capaci di generare cambiamenti nel mondo reale.
- Azioni di pulizia del presente.
- Sfruttare gli algoritmi e le meccaniche dei social media.
- Rendere disponibili le opere al grande pubblico, interagendo con lo stesso, in una dinamica di fruizione attiva tipica dei media freddi, volta al coinvolgimento e all’istruzione dello stesso.
Siamo spettatori di una preoccupante involuzione umana, opposta alla costante evoluzione tecnologica. Dobbiamo tornare a “competere” con la macchine, allineando i loro fini ai nostri, prima che sia troppo tardi. Dobbiamo usare la tecnologia per creare un ponte con la natura, proponendo nuovi modelli di vita possibili, ecosostenibili e applicabili su larga scala. Una situazione completamente opposta a quella cui stiamo assistendo oggi. Preservando la creatività umana.
Noi, artisti viralisti, siamo pronti a creare una nuova realtà di equilibrio sinergetico, lasciandoci alle spalle questo tempo buio e di incertezza per dichiarare: -Insieme, con la tecnologia consapevole, potremo vivere in un futuro più luminoso.