di Orietta Brombin
L’acqua, la insegna la sete.
La terra – gli oceani trascorsi.
Lo slancio – l’angoscia –
La pace – la raccontano le battaglie –
L’amore, i tumuli della memoria –
Gli uccelli, la neve.
Emily Dickinson
Muta è colei che non è in grado di emettere suono perché non ha voce. Eppure, la muta, poiché è l’effetto stesso del mutare, è ciò che cambia e si rinnova, ciclicamente, perciò continuamente: di stato, pelle, significato.
Muta è l’acqua stagnante del Po nei giorni torridi, privata della forza di fondersi nel vasto mare a cui è promessa. Mentre la muta dell’acqua – che non scorre (e non canta) – è pelle di fiume, fatta d’alghe, foglie e avanzi di città.
Succede spesso che l’acqua si ammutolisca, e muti.
Capita così nel 2003, ad altra acqua di fiume di cui osservare il bizzarro e diffuso fenomeno, proprio sulla superficie. Ma, sotto la superficie? Niente, silenzio.
Gran parte dell’acqua è prosciugata. L’alveo, portato a nudo.
Dalla calura germina uno spesso strato di alghe simili a folta pelliccia riccia, di consistenza stabile, densa e robusta. Superficie vegetale grassa, filamentosa oppure spugnosa. A perdita d’occhio.
Colori del fenomeno? Giallo e verde umido per le nuove formazioni. Poi, a ben guardare, alghe scolorite fino al bianco latte. Già invecchiate, pallide e friabili, poste ai margini.
Così si presentano gli interstizi, normalmente occupati dall’acqua libera fra i massi.
Sul fiume vegetale avviene un fenomeno – certamente – passeggero, come scopriranno i pesci che torneranno a nuotarvi. Passeggero, ma giusto in tempo per ricavarne trentasei diapositive a colori. La realtà – ciò che immaginiamo sia – non è riconoscibile, è già mutata.
Che l’acqua sia il bene comune primario per eccellenza è un assunto fisiologico di tutte le specie viventi del Pianeta, e viene urlato a gran voce dal Gruppo di Lisbona con il celebre Manifesto dell’acqua del 1998. Le risorse idriche sono al primo posto della scala di priorità di una ricerca di bene comune necessario alla vita stessa, a tutte le forme di vita esistenti nella biosfera. Così pure l’immaginazione è ritenuta essere un patrimonio primordiale, individuale e collettivo, necessario per lo sviluppo delle più diverse forme di conoscenza, capace di operare per sua natura alla risoluzione dei problemi dell’umanità, allo sviluppo di progetti che mettano in sicurezza le risorse necessarie a questa comune esistenza attraverso la condivisione e la solidarietà.
Se l’arte è un bene comune primario che appartiene alla categoria della conoscenza (e molto deve essere ancora conosciuto), se l’acqua è insegnata dalla sete, l’esercizio di traduzione può scorrere – come fosse acqua – anche grazie all’artificio dell’immaginazione. La finzione, l’inaspettato, avviene quando le immagini digitali – e verdi – vengono invertite nel colore opposto dal linguaggio macchina (RGB); opposto che, attraverso una ricerca di sistema, si rivela di una tonalità di azzurro tenero, proprio come fosse acqua. L’esercizio della traduzione diventa progetto che prevede di fissare un codice temporaneo di otto fenotipi tradotti in altrettante fotografie in bianco e nero. Otto parziali e dettagliate immagini della pelle di fiume, tanto anomale quanto reali.
Le immagini riportano alla luce la qualità traslucida e scivolosa dell’acqua perché sono protette in calotte di vetro. Uno dopo l’altro, i tondi ricreano un flusso, un’idea di fiume, di pozze lucide.
Sempre nel segno dell’artificio, attraverso un montaggio video, Muta compie un ulteriore atto di traduzione dove ciò che è fisso e cristallizzato si anima e torna a scorrere. Così come il movimento, anche la voce perduta dell’acqua rompe il silenzio attraverso una pulsante sonorizzazione in stile DUB.
Orietta Brombin,
Muta, 2012.
Video, b/n, 3’.
Sound: Leopold, Tito Sherpa.
Orietta Brombin, Muta, 2012.
Tondi in vetro, diametro 30 cm, Fotografie digitali, otto elementi.
Bibliografia:
Riccardo Petrella, Il Manifesto dell’acqua. Il diritto alla vita per tutti, EGA Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2001.
Stefano Rodotà, Beni comuni, Consorzio Festivalfilosofia, Modena, 2013.
Emily Dickinson, Silenzi (c. 1859, postuma), Feltrinelli, Milano, 2014.