di Alessandro Carrieri
Se il contesto attuale – dominato dalle fake news e da una comunicazione mediatica e politica meramente teleologica e spogliata di ogni referente valoriale – ci appare come l’inveramento di quelle teorie postmoderne che gareggiavano nella composizione del proprio personale Requiem della Verità e che preparavano e supportavano, entusiasti, l’avvento di un pensiero indebolito e mutilato, la filosofia dei maestri della cosiddetta Scuola Torinese (Augusto Guzzo, Augusto Del Noce, Luigi Pareyson, Giuseppe Riconda e, sebbene dopo il suo rifiuto del giuramento fascista non abbia mai insegnato a Torino, Piero Martinetti) – che nella seconda metà del Novecento avevano già compreso, denunciato e avversato gli esiti nichilisti di tali teorie – può costituire un utile strumento per la comprensione del presente e un potente antidoto contro le sue antinomie.
Nella variegata eterogeneità delle loro posizioni, emerge infatti una critica pressoché unanime della società dei consumi – o società opulenta, secondo la formula galbraithiana diffusa a quel tempo e accolta dagli autori sopracitati – e del primato (e dell’abuso) della razionalità tecnico-strumentale, ciò che Pareyson definiva strumentalismo, che presiede lo sviluppo di tale società. La banalizzazione del quotidiano e il relativismo assoluto, elementi propri e inscindibili della società occidentale contemporanea, hanno condotto, a un tempo, alla scomparsa del vero e del tragico, con il supporto della filosofia postmoderna, che propugna “un Nietzsche dissociato dalla tragedia e un Marx senza rivoluzione” (Riconda 2017) : se da un lato, infatti, l’affermarsi di un pensiero svilito da un relativismo nichilista ha prodotto un’endemica incapacità di distinguere il vero dal falso (di cui la proliferazione di fake news non rappresenta che un sintomo), dall’altro, la scotomizzazione della morte e del male e l’appiattimento della realtà su una dimensione del tutto immanente effondono e assicurano ciò che Günther Anders definiva bonaccia escatologica.
A ben vedere, così come la morte delle ideologie si è rivelata la più potente e feconda ideologia contemporanea – aprendo le porte al trionfo di un nichilismo totalmente dispiegato, caratterizzato dall’abolizione di qualsivoglia alternativa all’esistente e dall’abbandono preventivo di ogni tentativo di modificarne lo statuto, dalla sottomissione volontaria al nomos tirannico del dominio tecnocratico ed economico e dalla svalutazione definitiva dell’uomo e del cosmo naturale – la “fine” o il “tramonto” della verità, ovvero la sua totale relativizzazione, presenta se stessa come l’unica verità inconfutabile. In fondo, scriveva Pareyson, “il razionalismo è acritico perché, non riconoscendo il proprio carattere opzionale, non fa quel che dice e non dice quel che fa: non meraviglia che, avendo preso le mosse dalla menzogna, non fa che trascinare dietro a sé un seguito di menzogne, non riuscendo ad opporre alcun valido argine contro le opzioni che abusando della libertà tradiscono la verità” (Pareyson 2007).
Oggi, allora, si tratta di liberare verità e storia dalla “piccolissima gabbia in cui la banalizzazione” le ha imprigionate (Anders 1994), giungere alla consapevolezza che il nichilismo non fu e “non è un risultato della guerra, ma ne è il presupposto” (Lowith 1999), e che l’attuale crisi ecologica, sociale e politica è anche e soprattutto una crisi filosofica: la sua critica, perciò, non può che coincidere con la critica della razionalità strumentale e del concetto di progresso che ne deriva. Come aveva ben compreso Benjamin, “in ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla” (Benjamin 1940).
Bibliografia
- Riconda, Una filosofia attraverso la storia della filosofia, Mimesis, Milano-Udine 2017, p. 79
- Pareyson, Interpretazione e storia, Mursia, Milano 2007, p. 242
- Anders, Philosophische Stenogramme, C.H. Beck, Munich 1994, p. 65
- Lowith, Il nichilismo europeo, Laterza, Bari 1999, p. 36
- Benjamin, Sul concetto di storia, in Id., Opere complete VII. Scritti 1938-1940, Einaudi, Torino 2006, p. 485.