di Charlotte Santamaria
Lo chiediamo soprattutto a chi concede maggiori premure alla vita notturna, con evidente disappunto degli abitanti del giorno. Siamo perciò biologicamente portati a pensare che i ritmi del buio e della luce non possano coesistere nel rispetto reciproco. I suoni, tuttavia, per come li conosciamo noi, sono inclusivi e inaspettati, si mescolano con il caso “a fuoco lento” in qualsiasi ambiente. Il primo ad averlo dichiarato al pubblico fu il musicista John Cage che ritrovò proprio nella casualità uno schema più che valido per comporre un’opera concertistica, 4’ 33’’ appunto. Di eredità senza dubbio orientale, la scelta delcompositore fu quella di elogiare il tempo che stava vivendo sul palco, senza alterarlo con suoni intenzionali. Un silenzio orchestrato dalla massima fiducia verso lo spazio. Assistervi nel 1952 fu un atto di solennità ribelle. Quel tipo di quiete che ogni artista conosce molto bene, perché si manifesta nella personale contemplazione di un progetto volto al termine. Si tratta di una rivelazione così immediata che non vi è giudizio, commento o narrazione che
possa scalfire il suono della propria opera. Diviene a questo punto, l’espressione artistica, un dialogo tra le parti, tra parola e silenzio, un conflitto lasciato volutamente irrisolto. Cage abbatte tutte le gerarchie musicali, sostituendo il rigore compositivo alla drammaturgia sonora, pone le basi per quella che diverrà in futuro la musica concreta. Una delle più alte dimostrazioni di quanto l’assenza di suono incida sulla teatralità è il viso di Maria di Cleofa nella Deposizione di Caravaggio. Nel disegno l’effetto verosimilmente tragico è dato dagli schizzi anatomici effettuati in loco dal pittore. È noto che quegli scenari saranno oggetto distudio per i sipari giustapposti che filtrano la luce nei suoi quadri. Caravaggio, attraverso le sue opere, ha dimostrato come l’illuminazione sa interferire anche a favore delle zone d’ombra creando un legame armonico e decisivo. Nel microcosmo caravaggesco convivono i suoni più gravi e acuti di un’immagine, si danno del tu, rivelando quanto l’intensità di un’emozionealterni momenti di coinvolgimento ad attimi di stasi.