Per una risignificazione delle tracce presenti nel tessuto urbano del rimosso coloniale italiano
di Nemi Ferrara
“Bisogna capire che il colonialismo non è affatto astratto: tutte le famiglie hanno qualcuno – padri, nonni, trisnonni, zii – che era finito in Africa orientale o in Libia […]”
Igiaba Scego1
Durante il lockdown iniziai a girovagare tra gli isolati vicino a casa e ad osservarli come non avevo mai fatto prima. In quelle passeggiate solitarie e liberatorie immaginavo la città come un grande archivio da decifrare e consultare. Le strade di Torino, come in ogni altro luogo, sono “voci silenziose”, conservano memorie e informazioni spesso trascurate, seppure alla portata di tutti. Non c’è limite di accesso, non serve un biglietto e possono essere condivise anche con chi non si conosce. Perciò gli spazi urbani, in cui ci muoviamo freneticamente, offrono il pretesto ideale per favorire lo scambio, il dibattito e l’ascolto. Se ci abbandonassimo alle molteplici narrazioni di pietre, mattoni e asfalto, scopriremmo tra i muri protetti da filo spinato e le videocamere di sorveglianza di via Tommaso De Cristoforis, la targa in pietra posta all’ingresso della caserma Vittorio Da Bormida. In questa traversa defilata di Corso Unione Sovietica, apprenderemmo dunque del monferrino De Cristoforis che, al comando dei “500 di Dogali”, perì in battaglia nella prima grande sconfitta dell’impresa coloniale italiana in Africa nord-orientale. Il sito del Quirinale lo ricorda tra gli insigniti della medaglia d’oro al valor militare: “Per aver spontaneamente impegnato il combattimento contro forze sproporzionatamente superiori e per aver in seguito opposta eroica difesa nella quale egli fu ucciso e tutti i suoi dipendenti rimasero morti o feriti. Dogali (Africa), 26 gennaio 1887”2.
E ancora, grazie al testo della lapide commemorativa un tempo posta nei Quartieri Militari juvarriani, appureremmo che nel 1901: “Municipio e Governo/ vollero intitolare questa caserma/ dal nome del prode generale/ conte vittorio dabormida/ da torino/ caduto alla testa della sua brigata/ illustrando coll’esempio di militari virtù/ la giornata di Adua […]”3.
La Via e la Caserma sono chiari esempi di “topografia coloniale”, entrambe infatti rievocano le vicende del Regio Esercito Italiano nella campagna dell’Ottocento. Se la storia la scrivono i vincitori, qui si tratta di una commemorazione dei vinti, un’operazione attraverso la quale la storia ufficiale giunge a noi in forma parziale e semplificata. L’imperialismo è un atteggiamento culturale e in opposizione ad esso nascono progetti di mappatura digitale, come Mapping Colonial Heritage in Italy, azioni di “Guerriglia odonomastica”4 e di decolonizzazione delle città. Come rimarca Ariella Aisha Azoulay, nel libro Potential History: Unlearning Imperialism5 , il pensiero imperialista pervade le istituzioni che costituiscono il nostro mondo (tra cui gli archivi e i musei), perciò: “Non è possibile decolonizzare il museo senza decolonizzare il mondo”6. Per Azoulay cambiare prospettiva è fondamentale, per questo si definisce “ebrea palestinese” e non israeliana, così da rivendicare la sua discendenza dagli avi in Palestina7.
Anche Igiaba Scego, sceglie di descriversi come italiana di seconda generazione, le origini somale e il passato familiare la ispirano nella tessitura di intrecci e parallelismi tra il passato coloniale e la situazione attuale in Italia (es. Oltre Babilonia, La linea del colore e Adua). Nei suoi libri ritrae lucidamente la complessità e le contraddizioni della società di cui facciamo parte, che è ancora priva di un immaginario popolare in grado di raccontare adeguatamente la storia coloniale e rappresentare i punti di vista dei tanti afrodiscendenti.
Accolgo la proposta del collettivo Wu Ming di anticolonizzazione del paesaggio, cioè: “anticolonizzare il senso che diamo ai luoghi nell’atto di abitarli ogni giorno”8 per rendere infine la società italiana davvero transculturale.
Nemi Ferrara, Haiku fotografico, 2022.
Note:
- G. Menditto, “Decolonizzare il nostro immaginario: intervista a Igiaba Scego” in 31 Mag, 7 novembre 2020. https://www.31mag.nl/non-pubblicare-decolonizzare-il-nostro-immaginario-intervista-a-igiaba-scego/ (Ultima consultazione, 26/04/2022).
- “De Cristoforis Tommaso” in Onorificenze, https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/14439 (Ultima consultazione, 26/04/2022).
- E. Pauletti, “Vittorio Dabormida Barracks” in Mapping Colonial Heritage in Italy, https://www.google.com/maps/d/u/0viewermid=1HARvilqZD7x0DrrDdqEiWhFOrzzoqvez&ll=45.04906789009202%2C7.666999217780659&z=14 (Ultima consultazione 26/04/2022).
- “Guerriglia Odonomastica” in Resistenza in Cirenaica, 4 dicembre 2018. https://resistenzeincirenaica.com/della-guerriglia-odonomastica/ (Ultima consultazione 26/04/2022).
- A. A. Azoulay, Potential History: Unlearning Imperialism, Verso Books, London-Brooklyn, 2019. Ebook p.41 (citazione tradotta dall’autrice).
- S. Alli, “Ariella Aisha Azoulay: “It is not possible to decolonize the museum without decolonizing the world” in Guernica Mag, 12 marzo 2020. https://www.guernicamag.com/miscellaneous-files-ariella-aisha-azoulay/ (Ultima consultazione 26/04/2022).
- Maria Nadotti, “Che cosa sta succedendo in Palestina? Una conversazione con Ariella Aïsha Azoulay” in Doppio Zero, 25 maggio 2021. https://www.doppiozero.com/materiali/che-cosa-sta-succedendo-in-palestina-2 (Ultima consultazione 26/04/2022).
- Wu Ming 2, “Una mappa per ricordare i crimini del colonialismo italiano”, in Internazionale, 15 febbraio 2021, https://www.internazionale.it/opinione/wu-ming-2/2021/02/15/mappa-colonialismo-italiano (Ultima consultazione 26/04/2022).