di Dong Hairuo
Nella globalizzazione odierna ci sono ancora tanti muri. Il muro è un limite, un ostacolo o una barriera, può essere fisico, geografico, mentale. Soprattutto nell’ultimo anno che abbiamo passato, il muro in qualche modo è diventato più alto. In questo contesto vorrei parlare di un muro linguistico: non soltanto il limite che impedisce a due stranieri di capirsi per le due diverse lingue, ma il limite stesso di parlare.
In origine il linguaggio primario è costituito dai gesti, successivamente sono i segni e simboli ad esprimere e comunicare il pensiero umano, passando dalla cultura orale alla cultura scritta, imparando poco alla volta a parlare. Oggi siamo ritornati a una sorta di linguaggio pittografico, quello delle icone dei computer, della segnaletica, degli emoticons, la comunicazione si semplifica e si banalizza, nel senso che ricominciamo a costruire i messaggi verbali in forma primitiva, perché non siamo più in grado di parlare, rischiamo di perdere la ricchezza e la complessità del logos.
In proposito vorrei raccontare un episodio accaduto alla fine del 2019, ormai noto, ma non abbastanza approfondito. Da circa un anno il Covid-19 si è diffuso in tutto il mondo, ci siamo quasi abituati ed anestetizzati a questa situazione, ma non possiamo dimenticare i primi contagi avvenuti in Cina (ufficialmente il 30 dicembre 2019, ma molto probabilmente il vero inizio è precedente). La polizia locale aveva arrestato otto persone, con l’accusa di comunicare notizie false, diffamanti e pericolose per la comunità: erano i medici degli ospedali di Wuhan, che avevano subito lanciato l’allarme per il rischio di un’epidemia, mentre le autorità insistevano ancora sul fatto che il virus poteva essere prevenuto e curato facilmente, escludendo il contagio da persona a persona.
Questi otto medici avevano semplicemente riportato la verità e invece sono stati inclusi nella lista nera dei “produttori di false notizie”. Solo un mese dopo (il 22 gennaio 2020) il governo cinese ha finalmente isolato la città di Wuhan. Fino a due giorni prima la piattaforma ufficiale WeChat della Corte Suprema del Popolo aveva dichiarato ufficialmente: “Le notizie false sulla diffusione del virus derivano da una divulgazione prematura e non chiara di informazioni”.
Il 10 marzo, i giornalisti più avveduti hanno pubblicato un articolo per svelare la verità. Il 30 dicembre 2019, quando il dottor Aifen ha ricevuto un rapporto di rilevazione del virus in un paziente non identificato con polmonite, ha cerchiato in rosso le parole “SARS Coronavirus”. Quando un suo compagno dell’università di medicina gli ha chiesto chiarimenti in proposito, lui ha fotografato il rapporto e glielo ha mandato. Quella notte, il rapporto si è diffuso in tutta la cerchia di medici a Wuhan e le persone che hanno trasmesso il rapporto includevano gli otto medici poi accusati dalla polizia. Ciò ha causato problemi ad Aifen che, in quanto fonte primaria della notizia, è stato interrogato dal comitato disciplinare dell’ospedale e ha subito “un rimprovero grave e senza precedenti”, con l’accusa di non aver tenuto un comportamento professionale.
Secondo precedenti rapporti, Aifen aveva ricevuto quell’informazione da “un’altra dottoressa che per questo era già stata ammonita, ma in modo meno pesante”: alcuni la considerano colei che ha dato il fischio d’allarme iniziale. Aifen ha corretto questa affermazione dichiarandosi “il distributore del fischio”. I giornalisti, per evitare che l’articolo fosse cancellato dall’amministratore di internet, hanno pubblicato il rapporto in una forma più ambigua e mascherata, con un testo inserito in un’immagine pixelata, un testo stampato al contrario, e così via. Tuttavia è stato comunque decifrato, ed è stato cancellato ma stimolando ugualmente una reazione: ad esempio, se è presente uno spazio vuoto, può essere letto solo dopo averlo copiato e incollato sul blocco note di un pc; può essere letto dai bambini che sono passati alla versione cinese di Pinyin; il layout viene modificato nella versione stampata del libro verticale. Alcune persone hanno iniziato a tradurre il documento in varie lingue: inglese, giapponese, tedesco, cantonese, ecc.; in seguito sono state utilizzate lingue simboliche (lingua emoji, lingua elfica) e poi sono apparse anche le versioni in alfabeto braille, spartiti musicali, codice Morse. In questo modo, l’articolo è diventato emblematico della comunicazione contemporanea, è diventato un’arte performativa. Ad esempio: la versione del libro antico, la versione Oracle, la versione dello script del sigillo, la versione BOOK FROM THE SKY di Xu Bing; la versione esadecimale, la versione del codice a barre e la versione del codice QR.
Dietro a questo fenomeno c’è un gioco ironico, un ritorno della forma della scrittura, un’esigenza di parlare. Qualcuno dice che si tratta di un auspicio o di una provocazione affinché la prossima generazione possa utilizzare la lingua cinese liberamente. Tutto ciò ci fa notare anche le straordinarie potenzialità della comunicazione, che riescono a superare o aggirare anche gli ostacoli di un ferreo controllo centralizzato. In un contesto politico in cui l’informazione è controllata e filtrata dalla censura, come accade in Cina, non si possono usare certe piattaforme diffuse come Youtube o Facebook. È vietato parlare liberamente (le parole “provocatorie”, ad esempio, vengono subito cancellate), anche la parola “governo”, in cinese “zheng fu”, si scrive abbreviata in “zf”, perché quando si scrive la parola in modo completo la polizia può rintracciarla all’interno di un discorso considerato provocatorio facendo scattare automaticamente una denuncia. E questo non accade solo in Cina, ma anche in altri paesi come Iran, Arabia Saudita, Russia, Corea del Nord, e altri che hanno situazioni politiche simili. Quindi in qualche modo la censura e l’ipercontrollo costringono a inventare altre modalità per comunicare, per esprimersi, usando più simboli e metafore: i vincoli vengono aggirati per la volontà di disobbedire. Un esempio più frequente è l’uso della lingua gestuale tra gli stranieri, quando qualcuno viaggia in paesi lontani e affronta una lingua sconosciuta, inizierà a usare i gesti per comunicare, anche se è solo per chiedere dove andare.
C’è un muro della lingua, non soltanto la lingua naturale ma anche le lingue artificiali, create da singoli o da gruppi di persone con finalità creative, identitarie, di provocazione o denuncia, e questo muro è come quello di Berlino, da abbattere e rovesciare. La voce dice “Bisogna disobbedire!”, ma per disobbedire prima bisogna saper dire, sapere cosa dire e come dirlo, per evitare che anche le comunicazioni di allarme e denuncia diventino una nuova forma di conformismo. Quindi è molto importante sviluppare la responsabilità e la consapevolezza, interrogando se stessi e il mondo, cercando sempre di avere rispetto e cura degli altri.
L’arte è un linguaggio che esprime l’anima, che ha lo scopo di conoscere se stessi e trovare la propria strada nella vita. La libertà è un principio fondante dell’arte, che ci dovrebbe spingere a non tradire noi stessi, sviluppando una consapevolezza e una conoscenza critica per indagare le verità che si nascondono sotto le maschere e il fumo delle false notizie, delle manipolazioni dei media. Per non cadere in giudizi sbagliati e superficiali è importante imparare a capire i meccanismi profondi dell’obbedienza e della disobbedienza, a scavare la complessità dei modi con cui l’umanità comunica e si esprime creativamente.