di Gerardo De Pasquale
È da una posizione periferica, che allargando il campo visivo sulla forma della città di Orte, con struggente autodefinirsi anima bella, che Pier Paolo Pasolini intesse e si consuma a rendere partecipe d’identica consapevolezza estetizzante un Ninetto Davoli che, nelle vesti di adepto come un giovane efebo dalla testa ricciuta di un putto, ascolta il proprio maestro. La scena filmico-documentaristica è già di per sé pittorica, immersa in una bruma invernale come in Bruegel il Vecchio. Pasolini traccia quello skyline corrotto da funeste incursioni di scellerati piani regolatori che ne hanno deturpato la scena sommitale, centrale e protagonista. Trasmissione RAI del 1974, non lontano dalla sua tragica fine, dalla serie Io e… di Anna Zanoli con la regia di Paolo Brunatto, puntata dal titolo che definirlo significativo è a dir poco riduttivo: Pasolini e.. “la forma della città”, una struggente e poetica lectio di antropologia urbanistica.
La puntuale coerenza pasoliniana, così immediatamente evidente già nelle prime parole, ci parla di problema unico nel rapporto urbe/natura. Si può affermare che Pasolini ci ha come viziati di queste sue impressionanti “profezie laiche”. Non è una scaduta riflessione sugli scempi drammatici di speculazione edilizia, così bulimici in quegli anni; Pasolini, infatti, parla anche di necessità. Non abroga o si sottrae alla sensibile necessità abitativa, ci mancherebbe altro da lui, paladino incarnato ed ipersensibile delle problematiche di sottoproletariato. La sua rabbiosa critica, invece, è a chi può, non a chi non può, ed indica una lapalissiana soluzione a quegli occhi di potenti senza sguardo al futuro delle cose. La cifra: un valore nella creazione delle periferie non illusorio e falso, che ansima autoflagellandosi verso un mercificato centro, ma una visione lungimirante e sensibile che preserva e che si integra nello spazio centrale e paesaggistico senza mortificazione alcuna, già dall’egoistico e potenziale primo scellerato mattone.
Con un breve piano sequenza sui propri passi, all’improvviso, quasi come in un taglio dadaista alla René Clair in Entr’acte, Pier Paolo commenta magnificandone il valore di quell’umile cosa, di quel selciato che ha scelto di difendere “con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende un’opera d’arte di un grande autore. Esattamente come si deve difendere il patrimonio della poesia popolare anonima come la poesia d’autore, la poesia di Petrarca, di Dante, eccetera, eccetera.”
È un atto costante di estrema poiesi quello di Pasolini. Sì, di trascendentale e sincera attività dello spirito il suo carattere estetico e creativo. Non solo così evidente nelle celebri ed esplicite citazioni d’arte da tableaux vivants come quelle del Pontormo e Rosso Fiorentino, ma anche di Giotto, Piero della Francesca, Mantegna, ecc. Fu lui stesso, infatti, a dichiarare: “Il mio gusto cinematografico, non è di origine cinematografica, ma figurativa […] E non riesco a concepire immagini, paesaggi, composizione di figura, al di fuori di questa mia iniziale passione pittorica (non si dimentichi che ha frequentato i corsi di Roberto Longhi negli anni universitari a Bologna) […] Quindi quando le immagini sono in movimento, sono in movimento un po’ come se l’obiettivo si muovesse su loro come sopra un quadro.”
Ritornando sui nostri passi, mentre ripercorriamo idealmente insieme a Pier Paolo quel risalire verso Orte, su quel ciottolato valorizzato quanto un Mantegna, ci struggiamo di questa sua disperata dichiarazione poetica del sentirsi così estraneo ad un futuro le cui premesse anticipano un deserto culturale. Ecco che ci illuminano queste sue parole come su quei resti romani antichi fra i quali si muovono i suoi attori in Mamma Roma. Rovine ormai irriconoscibili e scarnificate, ruderi muti che nessuno più capisce, quasi fenomeni naturali, soffocate dall’avanzare delle borgate senza qualità e senza memoria. Che erano perfezione di una periferia dell’uomo e per l’uomo. Solo pochi fotogrammi, senza bisogni didascalici, a testimonianza di quel rapporto costante ed incarnato d’arte, che ci schiudono a quell’immaginifico valore di sguardo autentico. Non ha bisogno, in realtà, Pasolini di rifarsi all’opera, è il suo occhio che ineluttabilmente, perpetuamente vede e restituisce arte.
“Io sono una forza del passato / solo nella tradizione è il mio amore…” recita Orson Welles (leggendo una poesia dello stesso Pasolini) ne La Ricotta, film girato tra la via Appia Nuova e la via Appia Antica nell’autunno del 1963.
Io e… di Anna Zanoli con la regia di Paolo Brunatto, puntata dal titolo: Pasolini e.. “la forma della città”: https://www.raiplay.it/programmi/pasolinielaformadellacitta
Pier Paolo Pasolini, Mamma Roma, fotogramma, 1962
Immagine in evidenza: Edward Lear, Campagna romana, olio su tela, 1841